M E S S A G G I O
del
GRAN MAESTRO DEGLI ARCHITETTI
del
RITO SIMBOLICO ITALIANO
Prendo spunto dal mio intervento alla G.:. L.:. del 2002 (Le Vie del dialogo) per proseguire il discorso sul comportamento non conforme alla ritualità tenuto dai Fratelli nel corso delle riunioni di Loggia ed in particolar modo in Gran Loggia, attribuendo tale comportamento al fatto che il dialogo si svolgeva a livello di personalità e non a livello di IO ed era quindi causa di scontro e non di comprensione. A tutt’oggi nulla mi sembra cambiato.
Dicevano gli Indiani delle grandi pianure del Nord America: “Se vuoi comprendere il significato del Totem, entraci dentro“. È questa una spiegazione simbolica, semplice e completa, del meccanismo psicologico dell’empatia, che consente di entrare dentro, di identificarsi temporaneamente in un’altra persona per comprendere la sua visione del mondo, i suoi problemi, le sue caratteristiche, senza tuttavia rinunziare in alcun modo alla propria identità, al proprio mondo, alle proprie pulsioni. Ora, per poter costruire un rapporto empatico, è necessario un linguaggio comune ad entrambi i soggetti del rapporto, un linguaggio che trascenda la comunicazione verbale ed anche quella averbale, per risalire all’origine di ogni messaggio relazionale, ad una struttura comune a tutti gli esseri umani, archetipica, cioè radicata nell’inconscio collettivo e capace di esprimersi attraverso i simboli.
Questo linguaggio comune, che va al di là di ogni elaborato mentale e non consente infingimenti, non può essere altro che quello dei simboli che nella ritualità – specialmente in una ritualità tradizionale come quella massonica – trova la sua possibilità di espressione. È per questo che mi permetto di ricordare a tutti i Fratelli la preminente importanza della ritualità – non formale ma sostanziale, non basata su formule ripetute a pappagallo ma su una profonda partecipazione interiore – nei lavori di Loggia perché solo attraverso questi mezzi, strutturati e sperimentati nel tempo, può essere compiuta l’opera preliminare e fondamentale su cui basare ogni successivo lavoro, cioè la costruzione di un eggregore e quindi del Tempio.
Non sarà quindi soltanto un dialogo quello che si terrà in ciascuna Officina, ma un coro, in cui ciascuno farà udire la sua voce – come quella di uno strumento ben accordato – per armonizzarla con quella degli altri, affinché ogni dissenso, ogni stonatura scompaia, e si crei una musica simbolo di unità e di elevazione. Questo coro sarà allora in grado di cantare a gloria del G.:. A.:. D.:. U.:. il Salmo 132: “Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum“.
Rimini, 6 aprile 2003
Ottavio Gallego
Gran Maestro degli Architetti
del Rito Simbolico Italiano