Premessa
Carissimi Fratelli, il tema che questa sera mi accingo, con il Vostro fraterno sostegno, ad introdurre, attiene ad un aspetto (o forse potrei dire ad una premessa) del nostro lavoro iniziatico oggi molto difficile da perseguire, ottenebrati come siamo dall’assordante vita quotidiana.
Prima però di entrare nel vivo dell’argomento, vanno precisate due considerazioni preliminari.
La prima è costituita dalla più appariscente peculiarità della tradizione e dell’esperienza occidentale di pensiero e di metodo, che si discosta in maniera sostanziale dalla più nota (nel mondo profano) “tradizione orientale” (1).
In quest’ultima, infatti, il primo elemento che appare caratterizzante all’osservatore occidentale è la disposizione contemplativa-passiva che lo studioso, il cercatore, assume nell’attesa di una illuminazione: “in un solo istante uno diventa Buddha perfetto”. La consapevolezza dell’uomo s’immerge cioè in una meditazione che annulla l’individualità e la coscienza di sé. Dal Samsâra al Nirvana (2).
La tradizione occidentale, frutto di esperienze ambientali e storiche diverse, applica invece metodologie di tipo attivo, nelle quali, cioè, gli strumenti del pensiero dell’iniziato debbono essere affinati fino a consentire una introspezione che esalti la propria consapevolezza, tanto da raggiungere stati di coscienza-conoscenza superiori. E quando si parla di “stati di coscienza superiori” si intende, per dirla con il Guénon, “non di stati sopra-individuali, ma di condurre l’essere oltre ogni stato condizionato”.
La seconda indispensabile considerazione vuole rimarcare l’ambito in cui il nostro lavoro iniziatico viene affrontato e svolto.
Il Fratello Massone, nella realtà dei giorni nostri, è un uomo che, in un certo qual senso, conduce una doppia vita interiore. Una è quella di cittadino, di padre, di marito, inserito pienamente nei meccanismi della vita profana e ad essa legato per contribuire rettamente allo sviluppo dell’umana società; l’altra è quella di iniziato, di uomo alla ricerca dei significati del simbolo, di viaggiatore nei meandri di sé stesso.
Far convivere questi due aspetti della propria esistenza è lo specifico impegno del Fratello Massone, poiché egli tale non sarebbe se non fosse impegnato nel perfezionamento anche dell’Uomo e dell’umana Famiglia e non fosse quindi produttivamente presente nella società a lui contemporanea (3); non lontano eremita, non astratto osservatore, ma al contempo Uomo Iniziato “E” Uomo Civile. Ciò comporta la necessità di armonizzare il grande lavoro di sgrossamento della propria pietra interiore con la vita che noi definiamo profana, in modo che essa rappresenti all’esterno il Sacro Tempio che è all’interno di ognuno di noi.
Orbene, come predisporre l’animo e la mente ad affinare la propria consapevolezza? Come ottenere “quella forza morale che gli permetta di lottare contro le avversità” per essere un Iniziato Fratello Massone?
Raggiungendo… il Silenzio.
L’Inizio
La parola iniziazione, da initium, significa “entrata” o “principio”, ed allude ad una “seconda nascita” (o, potremmo dire “secondo inizio”); tale “rigenerazione” apre all’essere le porte di un mondo diverso da quello in cui si svolge l’attività nella consueta modalità corporea, per condurlo alla restaurazione in sé dello “stato primordiale” che è la pienezza e la perfezione dell’individualità umana.
Ma lo stato primordiale non è che lo stato silente della nuova creazione, della tabula rasa su cui scrivere le parole della conoscenza, su cui erigere i primi mattoni del Sacro Tempio (4).
Dalla creazione di un nuovo stato di coscienza deriva il primo Silenzio, quello indotto dalla mancanza di nozioni, di informazioni; in questo senso il Fratello appena iniziato affronta il momento della prima esplorazione del Vuoto Sacrale formatosi intorno a sé.
Questo vuoto, da non confondersi con il Nulla Mistico (5) della tradizione Zen, è un vuoto ‘fertile’, un vuoto conseguenza diretta della “ricreazione” subita, che finisce con il diventare immediata premessa per il successivo passo, quello della comprensione, dell’analisi del nuovo spazio in cui l’iniziato si trova (6).
Fare Silenzio per entrare – essenzialmente, ovvero in essenza – in contatto con l’Io più profondo.
Solo il Silenzio consente di avvertire quel suono apparentemente inneffabile, quel soffuso rumore di fondo che, in questa fase, altro non è se non la vibrazione (7) del proprio stesso essere (8).
Il Silenzio induce alla riflessione sul proprio stato interiore, consente di focalizzare l’attenzione su quanto, sommerso dal chiasso di una precedente, inconsapevole esistenza, era stato taciuto, o anzi, era rimasto inascoltato perché coperto da clangori di ogni sorta.
Durante la cerimonia di iniziazione al Primo Grado, nel corso dei ‘viaggi’ che vengono imposti al profano, rumori dapprima forti, invasivi, assillanti, e poi sempre più leggeri e discreti lo seguono nel suo cammino; ricordiamo le parole che il Maestro Venerabile pronunzia in quella occasione: “Profano, il viaggio simbolico che avete compiuto è il quadro della vita umana. Il rumore che avete udito ricorda le passioni che l’agitano; gli ostacoli che avete incontrato, le difficoltà che l’uomo incontra e che non può vincere o superare se non acquistando quella forza morale che gli permetta di lottare contro le avversità… “.
Questo, descritto tanto efficacemente, è lo stato precedente alla traditio della Luce; esso si altera, si sconvolge durante il Rito, quando chi conferisce l’iniziazione diviene vero e proprio “trasmettitore”, “ricreatore”, agendo non in quanto individuo ma in quanto anello di una “catena” il cui punto di partenza è al di fuori ed al di là dell’umanità. Questo nuovo stato, prodotto dall’avvento della Luce, l’Apprendista deve analizzare e comprendere (cioè prendere con sé, far suo) dal suo nuovo e successivo punto di vista.
Il violento contrasto che si sperimenta durante questo difficile passaggio, il repentino succedersi fra rumore assordante e silenzio profondo può lasciare confuso chi lo vive, creando a volte perfino sconcerto; non a caso all’Apprendista è imposto un periodo di “silenzio materiale” nel Tempio Massonico, che gli consente di avere il tempo di maturare la nuova regola, di assorbire lo choc indotto dal susseguirsi di esperienze tanto apparentemente antitetiche.
Lo Sviluppo
Una volta compiuto il primo e più pressante lavoro, una volta esplorato e “riconosciuto” lo spazio intorno a sé, l’iniziato potrà volgere lo sguardo più in là, per avviare l’opera di “ricreazione” del mondo.
Ora il Silenzio si configura come il Tempo dell’avvento del Verbo, dell’attesa della Parola. Nel Silenzio, apparirà il Suono.
In India il suono del flauto di Krishna è quello che fa nascere il mondo per magia. Con il medesimo significato suonano la lira le divinità preelleniche, e molte dottrine tradizionali considerano il suono come la prima cosa creata, quella che poi ha dato origine a tutte le altre cose, a cominciare dalla luce, dall’aria, fino al fuoco.
J. R. R. Tolkien (9), nel suo Il Silmarillion, fa derivare la nascita del mondo dal canto degli Dei, in cui perfino la disarmonia, creatrice del Male, rientra nella gloria e nella grande meccanica della creazione.
Tutto ciò deve essere “compreso” dall’iniziato, affinché entri a far parte della propria coscienza, affinché egli possa imparare a parlare.
Interessante è la definizione del simbolismo fonetico contenuta in alcuni rituali mitriaci, così come derivata dalla tradizione egizia ed alla quale si allude nel Libro dei Morti: “…la parola, che è fondamentalmente un fenomeno acustico, ha più valore come suono che come espressione di un’idea, poiché il suono contenuto in essa e che da essa è emanato in determinate vibrazioni è la modulazione dell’alito cosmico (10); pronunciare “nel giusto modo” una parola sintonizzandola, per così dire, con i diversi ritmi del cosmo, significa restituirle il suo potere elementare”. Questa credenza nel potere fonetico in sé stesso portò gli gnostici ed i fedeli di Mitra (11) all’inclusione di passi privi di significato letterale nei loro versetti e recitativi rituali, in modo da dar luogo ad una specie di musica simbolica, che agisse soltanto con il potere del significato fonetico.
L’Om (Aum) dei tibetani concentra in sé tutta l’essenza universale (A, principio; U, transizione; M, fine, sonno profondo); è in altri termini il Verbo, che può essere colto solo se si sa fare il Silenzio, indispensabile premessa per la ricerca interiore, per l’autentica conoscenza e comprensione.
Oggi purtroppo la Parola si è svuotata di senso, e con la Parola il Verbo di Dio. Smarrito o misconosciuto il senso della Parola, l’uomo profano tende a fare altrettanto con il Silenzio, sentendolo come uno stato da cui fuggire, come espressione delle proprie angosce, delle proprie paure inespresse, della propria incapacità di ‘vedere’.
Ma il Fratello Iniziato, che ha subìto “un nuovo cominciamento”, che ha iniziato a muovere i suoi primi passi, “riconoscendolo” nel Vuoto Sacrale, circondato dal Silenzio generatore del Suono, che ha avvertito il Suono Cosmico come elemento iniziatore di Vita, può percorrere le strade del nuovo mondo (12) creatosi in sé senza cadere vittima delle contraddizioni, delle contratture, delle deformità derivanti dal contrasto fra l’onnipresente clangore profano e la limpida e bianca Luce ricevuta? Ancora una volta la risposta è… nel Silenzio.
Il Rito, lo Strumento, il Custode
Ancora una volta è il Silenzio ad assumere il suo ruolo di chiarificatore, diremmo di catalizzatore, nell’animo dell’Iniziato, poiché solo quest’ultimo sa come ottenerlo in modo che sia strumento docile nelle sue mani, premessa fertile, conforto sicuro.
Ma c’è ancor di più.
Nella “ricreazione” dell’Iniziazione il profano sperimenta per la prima volta il Silenzio, si è detto; quindi il Silenzio, come prima manifestazione di una nuova creazione, costituisce il rituale intimo del Fratello Massone.
Ogni rito, nella sua essenza, simboleggia e riproduce la creazione. Per questo i riti sono collegati con gli ornamenti, con i simboli, la cui intima identità con il rito è tale da costituirne parte indissolubile. La lentezza dei movimenti rituali nelle cerimonie ha una stretta affinità con il ritmo dei movimenti astrali e, d’altro canto, tutti i riti sono appuntamenti, cioè confluenze di forze e di ordinazioni, concentratori di energie. Il suo significato, la sua potenza, deriva dall’accumulo e dalla combinazione dei poteri concentrati.
Il rito, quale carattere comune a tutte le istituzioni tradizionali di qualsiasi ordine, siano esse essoteriche o esoteriche, ha sempre lo scopo di mettere l’essere umano in rapporto, direttamente o indirettamente, con qualcosa che superi la sua individualità e che appartiene ad altri stati di esistenza. In molti casi la comunicazione che così si stabilisce non è nemmeno cosciente, rimanendo nondimeno assolutamente reale.
Nel nostro caso allora, nel caso cioè del lavoro che il Fratello Iniziato si accinge a compiere ogni qual volta intenda aprire a sé stesso le porte del proprio Tempio interiore, il rito rifocalizza la condizione in cui egli si è trovato immediatamente dopo l’iniziazione ricevuta, appunto il Silenzio, tanto da ricreare le condizioni necessarie per una fruttuosa opera.
Potremmo quindi dire che il Silenzio diviene la strada attraverso cui il Fratello Iniziato stabilisce il contatto con gli stati superiori e grazie al quale potrà acquisire la Conoscenza.
Ma quest’ultima, cioè la conoscenza diretta del Trascendente, è in sé stessa evidentemente incomunicabile ed inesprimibile poiché ogni espressione eventualmente utilizzata per trasmetterla, essendo strumento formale e quindi del tutto umano, è evidentemente inadeguata a rappresentarla (13).
Il Silenzio diviene allora anche custode attento delle acquisizioni raggiunte dall’Iniziato; diviene lo scrigno in cui preservare i gioielli della Conoscenza.
La Sintesi
Abbiamo detto che il potere spirituale del Silenzio è grande: senza di esso non è possibile la Parola, epperciò la verità, la serietà, la vita.
Per il Fratello Iniziato il Silenzio non è una pausa sterile, ma una riflessione feconda, non fine a sé stessa ma generatrice di conseguenze. Perciò il Maestro saprà fare il Silenzio dentro di sé per ogni gradino che vorrà salire e, d’altro canto, quando immerso nel mondo profano darà di sé l’immagine di un Uomo Civile, gli occorrerà indispensabilmente per distillare, e rendere più comprensibile, quel Tempio trasparente che è in lui.
Con la trasparenza del suo animo egli porterà nel mondo profano, nella dimensione umana, gli effetti materiali, ma non per questo meno preziosi, della Luce dell’Iniziazione, divenuta ormai da virtuale a reale, e adempirà anche questa parte del suo dovere, del suo impegno di Massone.
Enrico Franceschetti
(1) La banalizzazione che di esse è stata fatta, prendendo a rilievo solo gli aspetti più spettacolari (lievitazioni, capacità di arrestare il battito cardiaco) hanno reso famosa la mistica orientale. Rimane invece meno evidente ciò che è alla base di quella tradizione, cioè l’autentica aspirazione alla conoscenza sia pure perseguita con metodologie diverse da quelle che ci sono più consone.
(2) Dalle tribolazioni del continuo nascere e morire alla pace eterna. La continuazione dell’esistenza individuale, in una qualunque forma, anche come dio, è dolore: perché l’esistenza vuol dire divenire, ed il divenire è l’ombra dell’essere, un sempre rinnovato corrompimento, un non mai soddisfatto desiderio, una pena che mai si placa. La pace è nel dissolversi inconsapevole in quella luce incolore da cui tutte le cose traggono nascimento e che, senza che ne siamo consapevoli, brilla in noi stessi.
(3) La presenza del Fratello Massone nella società civile deve intendersi, ovviamente, quale presenza in sé e non quale intervento coordinato. Sarà la trasparenza del suo Tempio Interiore ad influenzare chi lo circonda ed a produrre quell’elevazione e quel miglioramento cui gli Antichi Principi alludono.
(4) Le conoscenze di ordine dottrinale, indispensabili all’iniziato, la cui comprensione teorica costituisce una condizione preliminare di ogni “realizzazione”, non hanno ovviamente nulla a che vedere con tutto ciò che sia soltanto una istruzione esteriore o “sapere” profano. Anzi, tale sapere può addirittura essere d’intralcio e di ostacolo piuttosto che un aiuto.
(5) Esemplificativa, a tal proposito, è la breve narrazione Zen che segue: “Il Maestro Joshu chiese un giorno ad un suo discepolo: – Cosa sei? – Il discepolo rispose: – Sono in meditazione, nello stato del Nulla, e dunque non sono nulla – Il Maestro Joshu allora gli disse: – Devi abbandonare il pensiero di non esser nulla, devi abbandonare i tuoi pensieri!”
(6) L’iniziazione virtuale, come trasmissione della “luce”, è in un certo senso subita dall’iniziando, in quanto conferimento, trasmissione di una influenza spirituale ad opera di una organizzazione tradizionale regolare. Essa ottiene una vera “nuova creazione” che sconvolge gli equilibri interiori dell’iniziando, portandogli la nuova Luce.
(7) Delle analogie fra Vibrazione – Suono – Luce si sono occupati numerosissimi studiosi, approfondendo l’analogia fra la Creazione ed il suono.
(8) Un grande del teatro italiano, Edoardo De Filippo, esortava all’ascolto delle “Voci di dentro”.
(9) Noto scrittore inglese, nato il 3 gennaio 1892 nel Sudafrica, fu autore di numerose saghe fantastiche coordinate in una unica visione di un mondo immaginifico, la cui lettura può avvenire a vari livelli giungendo fino all’individuazione di chiari e profondi riferimenti esoterici.
(10) Il valore del suono per tutte le tradizioni, come si è detto, è decisivo. In quanto manifestazione della prima e più elementare dualità discendente dalla creazione (Vuoto = Silenzio = Buio / Vita = Suono = Luce) esso permea, esprime il concetto stesso della Vita, del Cosmo in quanto manifestazione sensibile dell’ambiente in cui la Vita si manifesta. Perciò la vibrazione indotta dal suono costituisce “l’armonica portante” della Vita medesima e perciò la parola, che è una organizzazione codificata di suoni, finisce con rappresentare significati, a richiamare sensazioni, che vanno al di là delle mere convenzioni linguistiche.
(11) Antica divinità della religione iranica e persiana, poi identificata con il Sole e con Apollo e divenuta il centro di un culto misterico; l’impresa culminante di Mitra fu l’uccisione del Toro Cosmico che, morendo, dà origine alla vita. I misteri mitriaci venivano celebrati in santuari sotterranei (mitrei) e culminavano in un banchetto sacro.
(12) Juan Cirliot, nel suo Dizionario dei Simboli, lo identifica come “Il Dominio nel quale si va sviluppando uno stato dell’esistenza…. Ventunesimo arcano del Tarocco, corrisponde al complesso unionale del manifestato, vale a dire al mondo spaziale, riflesso di un’attività creativa permanente”.
(13) Scrive il Guénon: “Essendo il linguaggio umano legato strettamente, per la sua costituzione stessa, all’esercizio della facoltà razionale, ne consegue che tutto ciò che è espresso o tradotto, mediante questo linguaggio prende necessariamente, in modo più o meno esplicito, una forma di “ragionamento”” – Ed ancora “…poiché tale conoscenza semplicemente teorica non si ha che mediante il mentale, mentre la conoscenza effettiva è “mediante lo spirito e l’anima”, vale a dire mediante l’essere intero”.