LIBERTÀ, UGUAGLIANZA, FRATELLANZA

Dio come Architetto del Mondo nella miniatura della Bible moralisée, 1250 ca.
Dio come Architetto del Mondo nella miniatura della Bible moralisée, 1250 ca.

Nel nostro Tempio, sul trono del Maestro Venerabile, lungo il perimetro del Triangolo Sacro troviamo scritte le parole Libertà, Uguaglianza, Fratellanza.

Quasi sempre, il significato ad esse attribuito è morale o socio-politico: così la libertà è concepita come il potere di fare quello che si vuole, con il limite della libertà altrui; l’uguaglianza si afferma tra i Fratelli, senza distinzione alcuna – negli USA si adopera l’espressione to meet on the level, incontrarsi sulla livella; la fratellanza è infine il legame che unisce i massoni fra loro, indipendentemente dalle differenze di lingua, cultura e nazionalità.

Sono, intendiamoci, interpretazioni assolutamente valide e legittime, ma a mio avviso restano sempre confinate in ambito essoterico, profano. Mi preme invece evidenziarne le caratteristiche esoteriche, iniziatiche, questo è, pertanto, lo scopo delle seguenti riflessioni.

Cominciamo dalla libertà. La parola deriva dal sanscrito leud, che significa elevazione. La libertà iniziatica è dunque solo quella spirituale, interiore: si è tanto più liberi, quanto più ci si avvicina alla dimensione dell’Assoluto, solutus-ab, svincolato cioè da tutto quanto è precario e transeunte. Anche la posizione della parola, sul lato sinistro del triangolo, conferma questo assunto: la libertà è ascendente, e per chi ritiene che ciò possa essere un caso, rispondo affermando che nulla è casuale nel Tempio. Magari chi lo ha messo là non aveva coscienza delle implicazioni del suo gesto, certo è che il simbolo spiega ormai i suoi effetti, indipendentemente dalla volontà dell’agente perché, come disse Giamblico, “i simboli compiono da sé la loro opera”.

La libertà, intesa come ascesi, è pertanto una conquista personale dell’iniziato; non è uno status che si acquisisce permanentemente, bensì il risultato di un lavoro paziente, diuturno, che non conosce soste, che diventa un habitus, una consuetudine, i cui frutti si raccolgono nel tempo, senza scorciatoie né sconti.

Per gustare appieno la sensazione della libertà, nella sua dimensione spirituale, occorre che l’uomo viva il più possibile a contatto con la Natura. Del resto chi di noi non ha provato un’ebbrezza, una sensazione di liberazione interiore, salendo su una collina, su un monte? Non solo, ma la vista dalla vetta fa sì che le cose in basso ci appaiano piccole: quanto più ci si eleva spiritualmente, tanto più meschine e prive di importanza ci sembrano le cose di “quaggiù”, per le quali, invece, sovente ci affliggiamo oltre misura.

Gli antichi alchimisti ci hanno insegnato che lo studio della natura, ed il relativo lavoro trasmutativo, era essenzialmente diretto alla conoscenza del trascendente e della propria interiorità, allo scopo di evidenziarne le similitudini con l’Essere Supremo e ricostruire l’armonia del Tutto: operando tam physice quam ethice essi miravano in realtà a integrare l’uomo nel macrocosmo ed a svelare l’impronta divina in ogni manifestazione del creato. Tutto è insomma una teofania, cioè una manifestazione di Dio, anche e soprattutto l’uomo che, arrivato per ultimo, completa così il processo creativo.

Ma v’è dell’altro, come ci conferma il significato letterale della parola nella lingua latina. Nella quale i figli erano comunemente detti filii, laddove i discendenti dei patrizi, i fondatori di Roma, erano chiamati liberi. Questo perché erano considerati “uguali ai padri”. Questa notazione ci offre l’opportunità di trattare dell’uguaglianza.

L’uguaglianza fra le creature è un’utopia, se non addirittura una bestemmia. Non esiste assolutamente. Ricordo che, tempo fa, ho piantato dei bulbi di tulipano in un vaso. Alcuni sono spuntati a tempo debito, altri l’anno successivo, altri mai. Noi che sediamo qui, fra queste Colonne, siamo tutti uguali perché siamo tutti diversi, per condizione profana, per sensibilità e cultura; in ambito massonico, ci distinguiamo per gradi e per funzioni. Ma ognuno di noi reca l’impronta del suo Creatore. Ecco allora che l’uguaglianza, negata sul piano orizzontale della Manifestazione, si afferma prepotentemente su quello verticale dell’Essere ed il grado di “libertà” raggiunto da ognuno dipende strettamente dalla misura della consapevolezza di tale “uguaglianza” con il GADU.

Philotheus, Ab Uno, in Symbola Christiana, Francoforte, 1677.
Philotheus, Ab Uno, in Symbola Christiana, Francoforte, 1677.

Resta da esaminare la “fratellanza”. La parola è posta alla base del triangolo. Ciò mi fa perciò pensare ad un elemento di collegamento fra gli uomini, che li lega fra loro in relazioni empatiche. Supponendo che al vertice del triangolo sia posto l’Essere Supremo, al vertice inferiore sinistro “io” ed a quello destro “tu”, i due lati del triangolo, il sinistro e il destro, simboleggiano la relazione biunivoca esistente fra la divinità e l’uomo, individualmente considerato. È la fratellanza, la base del triangolo, che congiungendone i vertici laterali consente l’instaurazione delle relazioni umane e la nascita di un gruppo, fondato sulla comunanza del patrimonio ideale.

Questa considerazione fa giustizia delle tante sciocchezze dette sulla Massoneria a proposito di certe presunte connotazioni autoritarie, o “fasciste” tout court. La Massoneria è un ordine iniziatico, nel quale il maestro occupa un posto superiore a quello dell’apprendista. Ciò, del resto, è la regola di tutti gli ordinamenti tradizionali: la parola sanscrita Upa-nishad, con la quale si indica la raccolta dei testi filosofici vedici, significa letteralmente, “colui che siede in basso”. È la posizione del discepolo che ascolta il maestro. Tuttavia, se da un lato è vero che il secondo non si abbassa al livello del primo, dall’altro è incontestabile che egli opera per l’elevazione del discepolo, mettendolo sulla via e consentendogli di giungere ai più alti livelli di conoscenza e di spiritualità.

La fratellanza, dunque, è essenzialmente amore, inteso come energia che si trasferisce da chi ne ha di più a chi ne ha di meno, affinché anche quest’ultimo, ormai “in possesso dell’Arte”, possa continuare il cammino intrapreso senza dipendere più da nessuno, da uomo “libero” e perciò “uguale” ai suoi fratelli e al suo Creatore.

Giovanni Lombardo