La parola gerarchia ha una storia ormai lunga, che inizia, probabilmente, nei primi secoli d. C. L’adoperò infatti Dionigi Areopagita (o Pseudo-Dionigi), [1] alla gerarchia egli dedicò due opere: “(Della) Gerarchia celeste” e “(Della) Gerarchia ecclesiastica”. Al III capitolo della “Gerarchia celeste” se ne trova la prima definizione conosciuta.2
Ne parleremo; ma prima avanziamo nel tempo per giungere ai primi decenni del XX secolo.
In Italia, la parola gerarchia veniva allora ampiamente usata da ciò che si ricorda come Regime. I capi di quest’ultimo furono detti gerarchi.
In molti di coloro che crebbero in quegli anni e ne ebbero coscienza, dopo la caduta del Regime e la fine della Seconda Guerra Mondiale, la parola cominciò a evocare ricordi quanto meno sgraditi; lentamente uscì dai vocaboli in uso e fu confinata negli studi, riservata alla polemica politica e alle memorie.
Oggi parlare di gerarchia e di gerarchi è possibile quasi solamente in negativo. Sono esse delle parole dal cui uso si rifugge, per paura, anche quando si potrebbe impiegarle appropriatamente. Non sono casi isolati; sono parole che hanno una storia e un destino comune ad altre parole; una storia e un destino non peggiori di altri. Si pensi a tal proposito alla parola impero o a fascio, particolarmente nella specificazione fascio littorio; si pensi anche, in un altro ambito, al sospetto suscitato ancor oggi dall’uso di parole come patria, bandiera o infine al recentissimo impiego, volutamente polemico, di parole come arditi e arditismo che, fra l’altro, risalgono al primo conflitto mondiale anche se dal Regime vennero apprezzate, impiegate e celebrate.
È istruttivo soffermarsi sulla parola fascio. Il Fascio è un antico simbolo etrusco e romano che è poi riapparso in vari momenti storici fino alla Rivoluzione Francese, in cui è ampiamente rappresentato. Il Fascio compare anche nell’emblema del Rito Simbolico Italiano; perciò possiamo dire con certezza che esso è, almeno per noi, un simbolo sacro.
È accaduto, in seguito, che un movimento politico che ha tratto da esso il proprio nome si sia impossessato del fascio e ne abbia fatto un uso del tutto esteriore e quindi profano. Il sacro simbolo del Fascio Littorio, profanato, venne così svilito. Negli stessi anni ciò accadde anche al valore di altre parole, alcune già ricordate.
Non si può non riconoscere nella profanazione di un simbolo come il Fascio l’effetto di una potente azione antitradizionale di cui ciò che si conviene di chiamare “il fascismo”è stato un interprete. Interprete non sempre e necessariamente consapevole, poiché i fenomeni storici sono sempre complessi, e poiché è difficile sapere che cosa accadde realmente “dietro le quinte”, ma pur sempre interprete e tragico interprete, nonostante il pensiero di coloro che, come Guido De Giorgio, tentarono di nobilitarne l’esperienza [3]. Ad essi ultimi va comunque la riconoscenza di aver permesso la sopravvivenza della parola; se possiamo ancora avvicinarci a essa sacralmente lo dobbiamo anche a loro.
L’aspetto quasi religioso delle manifestazioni del Regime, in ultimo, non può non far pensare ad una violazione, ad un anacronismo e ad una parodia. Parodia terribile nelle sue manifestazioni e nei suoi effetti, quando si pensi alla coeve espressioni nell’Hitlerismo e nelle altre maschere del tempo.
L’effetto duraturo è che, oggi, nessuno separa il Fascio dal fascismo [4].
E così, oggi, la gerarchia si riduce a un ordinamento di persone e funzioni in base al principio della subordinazione delle autorità inferiori alle superiori.
* * *
Le parole hanno una forma che è qualità, immutabile e hanno un’esistenza che è anche potenza formatrice e che si sviluppa nel tempo.
Nel tempo infatti una parola può conservare o accrescere la sostanza che è la sua esistenza; ma può anche perderla; può assottigliarsi, svanire. Può ridursi infine a ciò che di più esteriore ha rappresentato. Quel che fu una parola è ora scheletro, supporto, pura funzione. È un povero resto, da cui naturalmente la vita si allontana. La parola esce dall’uso. La forma sopravvive, eterna e immutabile.
“La decadenza del linguaggio è più un sintomo che una malattia. L’acqua della vita inaridisce. La parola ha ancora importanza, ma non ha più significato. Viene sostituita a poco a poco da cifre. Diventa incapace di poesia, inefficace nella preghiera. I rozzi piaceri soppiantano quelli spirituali.” [5]
* * *
Gerarchia è una parola che nacque nella Chiesa e per la Chiesa e la cui forma discende dall’alto poiché “Ogni buon dono e ogni donazione perfetta viene dall’alto e discende dal Padre delle Luci” [6]
Secondo la definizione del capitolo III delle Gerarchie celesti essa è “un ordine sacro, una scienza e un’attività che tende ad identificarsi al Divino e che si eleva all’imitazione di Esso, in proporzione alle sue forze e in conformità alle illuminazioni concesse da Dio; perché, se la Bellezza divina, che è assoluta, buona e fonte di iniziazione, è assolutamente aliena da ogni discordanza, Essa è anche generosa della propria Luce con ognuno, secondo il merito, e apportatrice, nella divina iniziazione, di una perfezione che rende gli iniziati armoniosamente identici alla sua forma.” [7]
La gerarchia È tale (ordine sacro) esclusivamente in quanto dono di un Principio Sovrumano che Dionigi Areopagita chiama Principio Iniziatore. Infatti: “…per la nostra adatta elevazione il Principio Iniziatore, nel suo amore per gli uomini, ci ha rivelato le gerarchie celesti e, parallelamente al loro ministero e in rapporto alle nostre forze, ha istituito la nostra gerarchia a rassomiglianza del loro sacro essere simile a Dio; Egli ha rappresentato con immagini sensibili le Intelligenze celesti nelle sacre scritture dei Loghia, in modo da elevarci attraverso le cose sensibili fino alle realtà intelliggibili e dai simboli che rappresentano il sacro fino alle cime assolute delle gerarchie celesti.” [6]
L’esistenza di ciò che poi verrà chiamato gerarchia, in senso terreno, trae quindi la sua origine dal Principio Iniziatore. La gerarchia terrestre, trae la propria “forma”a imitazione delle gerarchie celesti.
I padri che hanno avuto accesso al Principio della Luce ci hanno tramandato i Loghia [9] e i Loghia ci rivelarono simbolicamente le gerarchie delle Intelligenze Celesti per la nostra elevazione. È un dono.
Infine, il Padre, che è il Principio Divino, ci ha fatto un dono di luce, archetipico e superiore ad ogni principio, che è la rivelazione in simboli immaginativi, le beatissime gerarchie angeliche. È infatti impossibile che lo splendore del Principio ci illumini senza rivestirsi, per la nostra elevazione, di una varietà di sacri veli e senza pre¬sentarsi in modo a noi adatto e naturale, secondo la Provvidenza del Padre; “…Lo scopo della gerarchia è dunque di assimilarsi e di unirsi sempre di più a Dio, che da essa viene posto a guida di tutta la scienza sacra e di tutta l’attività spirituale;… ” [10]
La Chiesa è gerarchia terrena proprio perché è stata istituita sulla forma donataci da un Principio Sovrumano, in quanto riflesso del sacro ordinamento celeste.
In tal senso la parola gerarchia si può applicare alle organizzazioni iniziatiche.
“Ogni organizzazione iniziatica è in se stessa essenzialmente gerarchica, tanto che si potrebbe scorgere in un tal fatto uno dei suoi caratteri fondamentali. La gerarchia iniziatica ha qualche cosa di speciale in sé che la distingue da tutte le altre gerarchie nell’ordine profano: ed è che essa è formata essenzialmente da gradi di “conoscenza”, con tutto quello che implica questa parola intesa nel suo vero significato (e quando la si prende nella pienezza di quest’ultimo si riferisce in realtà alla conoscenza effettiva)”. [11]
Sono considerazioni che danno da pensare. Con il tempo la sostanza della parola gerarchia, dobbiamo riconoscerlo con dolore, è svanita [12] e la parola è divenuta un simulacro, un’orma.
Il processo di esteriorizzazione e di svanimento delle parole – pensiamo a impero – è intimamente legato al progressivo e ineluttabile svanimento degli ordinamenti di governo; entrambi celano il progressivo allontanamento dal Principio ovvero dalla Sua manifestazione nell’ordine umano che ha loro dato vita e che solo può conferirgli un qualche grado di realtà [13]. “Decadenza storica e disgregazione del linguaggio si condizionano a vicenda…” [14]
Le parole come gerarchia sono però degli indicatori preziosi per chi sa ancora godere della ricchezza che è conservata nelle opere che ci sono state tramandate [15]. È uno sguardo che la rende disponibile in modo misterioso quello che su di esse si posa, silenzioso e riverente.
Siamo alla vigilia di grandi avvenimenti. L’Impero e la Gerarchia non sono più visibilmente “incarnati”; gli occhi si volgono altrove e i soli “ponti” riconoscibili osservano un rigoroso silenzio e custodiscono ciò che hanno ricevuto, adattandosi alle apparenze del mondo.
“È il tempo della ricerca, delle grandi peregrinazioni e delle partenze, dei profeti veri e falsi, degli attendamenti e dei campi militari, delle solitarie veglie notturne.” [16]
Il terreno si sta progressivamente inaridendo. Ma la dottrina, intangibile, riemergerà quando sarà necessario e allora si udranno altri nomi per altre esistenze.
* * *
Possiamo ora con gli occhi della mente guardare al nostro Ordine.
Se riconosciamo in esso l’eredità di un Principio Iniziatore o, in altri termini, se ci “leghiamo” a un Ordine di origine sovrumana, lo vivremo come gerarchia e potremo in esso progredire verso la trasmutazione e la trasformazione; altrimenti esso rimarrà per noi una pura virtualità, lettera morta, in senso proprio.
La ragione è qui chiamata a una prova di umiltà. Esiste qualcosa che la trascende. Si può affermarlo anche a prescindere dalla fede.
L’iniziazione è gerarchia, lo sappiamo, ma non basta; dobbiamo accettarlo. La riduzione dei tempi rende l’accettazione difficile; ancor più difficile e riconoscersi in un ordine sacro. Occorre intelligenza, un lungo profondo lavoro per giungere all’approdo.
Primus inter pares: è profondamente vero, l’uguaglianza iniziatica non è egualitarismo.
“Sembra d’altronde che ogni idea di gerarchia, anche al di fuori del dominio iniziatico, si sia particolarmente offuscata nella nostra epoca, ed altresì che sia una di quelle contro cui si accaniscono in modo speciale le negazioni dello spirito moderno, il che in vero è perfettamente conforme al carattere nettamente antitradizionale di questo spirito, carattere di cui in fondo l’“egualitarismo”in tutte le sue forme rappresenta semplicemente uno degli aspetti. È nondimeno strano e quasi incredibile, per chiunque non sia sprovvisto di ogni facoltà di riflessione, vedere questo “egualitarismo” ammesso apertamente e proclamato anche con insistenza dai membri di organizzazioni iniziatiche che, per quanto possano essere diminuite o anche deviate da molti punti di vista, conservano pertanto necessariamente una certa costituzione gerarchica, in mancanza della quale non potrebbero sussistere in alcun modo.” [17]
Viator (A. C.)
- A Dionigi Areopagita è ascritto il Corpus dionysiacum, che comprende: Gerarchia celeste, Gerarchia ecclesiastica, Teologia mistica e Epistole. Poiché si ritiene difficile identificare con sufficiente certezza l’autore con Dionigi Aeropagita, esso è spesso ricordato come Pseudo – Dionigi.
- Dionigi Areopagita, Gerarchie celesti, Tilopa, Roma, 1994; capitolo III, pag. 29.
- Guido De Giorgio, La tradizione romana, Flamen, Milano, 1973.
- Ernst Junger nel romanzo Eumeswil, Guanda, Parma, 2001; pag. 39 nota che “Il suffisso ismo ha un significato restrittivo: accresce la volontà a spese della sostanza.” Ciò è particolarmente vero nel caso della parola fascismo e va nel senso della riduzione e dello svanimento di cui alla nota 12.
- Ernst Junger, Eumeswil, Guanda, Parma, 2001; pag. 77.
- Dionigi Areopagita, Gerarchie celesti, Tilopa, Roma, 1994; capitolo I, pag. 15.
- Dionigi Areopagita, op. cit. capitolo III, pag. 29.
- Dionigi Areopagita, op. cit.; capitolo III, pagg. 17-18.
- I Loghia sono, in senso vetero testamentario, ciò che viene detto da Dio, la Parola di Dio.
- Dionigi Areopagita, op. cit. capitolo III, pag. 29.
- René Guénon, Considerazioni sulla via iniziatica, Basaia, 1988, pagg 362.
- Sullo “svanimento” ha scritto Ernst Junger, in Oltre la linea, Adelphi, Milano, 1989, pagg. 74-75: “Il mondo nichilistico è per sua essenza un mondo ridotto e che sempre più si va riducendo,… . La riduzione…sarà sempre avvertita come uno svanimento.”. A pag. 76, poi egli avverte: “Il fatto che i “valori supremi si svalutano” porta di conse-guenza a nuove incursioni nel territorio così svuotato. Questi tentativi possono aver luogo sia nelle chiese sia in ogni altro campo. … Allora come sotto un Olimpo minore, nascono religioni sostitutive in numero incalcolabile. Si può anzi dire che con lo spodestamento dei valori supremi qualsiasi cosa può acquisire un’illuminazione e un significato liturgici. Non solo le scienze della natura assumono questo ruolo; prosperano le visioni del mondo e le sètte; è un’epoca di apostoli senza missione.”
- Réne Guénon, Autorità spirituale e potere temporale, Luni Editrice, Milano, 1995. Nel primo capitolo, intitolato Autorità e gerarchia, alle pagg 18-19, Réne Guénon afferma: “Tutto ciò che è, qualunque sia il suo modo di essere, partecipa necessariamente dei princìpi universali, e nulla esiste se non per partecipazione a tali princìpi, i quali sono le essenze eterne e immutabili contenute nella per-manente attualità dell’Intelletto divino; si può quindi affermare che tutte le cose, per quanto siano contingenti in se stesse, traducono o rappresentano i princìpi a loro modo e al loro livello d’esistenza: altrimenti, non sarebbero che puro e semplice nulla. … Perciò le leggi di una sfera inferiore possono sempre essere assunte a simbolo delle realtà di una sfera superiore, nella quale risiede la loro ragione profonda, che è tanto il loro principio quanto il loro fine; incidentalmente possiamo segnalare qui l’errore delle moderne interpretazioni “naturalistiche” delle antiche dottrine tradizionali, interpretazioni che rovesciano in modo puro e semplice la gerarchia dei rapporti tra i differenti ordini di realtà.”
- Ernst Junger, Eumeswil, Guanda, Parma, 2001; pag. 77. Sulla lingua vedi anche la nota 15.
- Considerazioni illuminanti sull’argomento si possono leggere anche in Ernst Junger, Trattato del Ribelle, Adelphi, Milano, 1990; capo 34, in particolare: “Si potrebbe dire che esistono due generi di storia: uno nel mondo delle cose, l’altro in quello della lingua. E quest’ultimo è superiore al primo non soltanto, per la visione, ma anche per la forza, per la capacità. … La lingua non vive di leggi proprie, perché altrimenti i grammatici sarebbero i signori del mondo. Nel profondo delle origini il Verbo non è più forma né chiave. Diventa identico all’essere. Diventa potere creatore. Lì è la sua forza, immensa e impossibile da monetizzare. Qui possono darsi soltanto approssimazioni. La lingua tesse la sua opera intorno al silenzio, come l’oasi si stende intorno alla sorgente. E la poesia conferma che l’uomo è potuto penetrare nei giardini fuori del tempo. Di questo, poi, il tempo vivrà. Perfino in epoche in cui è decaduta a semplice strumento di tecnici e burocrati, persino quando per simulare una qualche freschezza prende a prestito le forme del gergo, la lingua rimane indefettibile nel suo immoto potere. Il grigio, la polvere, coprono solo la sua superficie. Chi scava più a fondo, in ogni deserto, tocca lo strato da cui sgorga la fonte. E con l’acqua che zampilla riaffiora nuova fecondità.”
- Ernst Junger, Al muro del tempo, Adelphi, Milano
- René Guénon, Considerazioni sulla via iniziatica, Basaia, 1988, pagg 360-361. Il capitolo dell’opera da cui è tratto il brano citato è interamente interessante ed è intitolato “la gerarchia iniziatica”. Particolarmente interessante è la nota a pag. 361 che dice: “Questa costituzione gerarchica è stata alterata di fatto dall’introduzione di certe forme “parlamentari” prese dalle istituzioni profane, ma tuttavia essa sussiste sempre nell’organizzazione dei gradi sovrapposti.”