“Se l’uomo vuole cominciare con certezze,
allora finirà con dei dubbi,
ma se sarà contento di cominciare con dei dubbi,
allora finirà con certezze.”
( Sir Francis Bacon )
Il titolo di questa tavola, nella sua genericità, semplicità ed ampiezza, sottende e si presta ad una molteplicità di interpretazioni e chiavi di lettura, anche opposte fra loro, che non ho certo la pretesa di affrontare tutte, limitandomi qui a fornire spunti di riflessione individuale.
Quando ho deciso di sviluppare il tema, propostomi dal Presidente del nostro Collegio, mi sono subito chiesto da dove iniziare: dall’Uomo Massone o dall’Uomo Medico che, più del primo, nella vita profana ha modo di avere contatto con la malattia e, anche sovente, con il suo esito letale?
Oppure iniziare dalla malattia, quale implicazione emotiva del paziente e dei suoi parenti stretti?
O, ancora, dalla non verità (giusta o non giusta), riferendo al paziente, con malattia ad esito nefasto, che “va tutto bene” anche quando si sa che non vi è via d’uscita?
Oppure dall’illusione che la chemioterapia e la radioterapia faranno effetto dopo qualche mese, quando già si sa che, indipendentemente da una risposta soggettiva, molto dipende dal tipo di neoplasia?
Ed ancora ci si chiede: perché fare controlli nel breve e medio tempo?
Si può contare su di un rimedio nel caso di ripresa della malattia? ( lasciatemi dire che non esiste!)
E, da ultimo: come si deve affrontare la fine della vita?
Prima di tutto, vorrei precisare che, da quando faccio parte della Massoneria, ho avuto modo di seguire – sempre -i lavori della mia Officina, del nostro Collegio, e, qualche volta, di altre Officine.
Ho potuto così beneficiare dei lavori svolti, i quali tendono a quella trasformazione che ci consente di caratterizzarci come uomini liberi e di buoni costumi, di migliorare noi stessi, cercando così di dare un pur minimo contributo al bene dell’umanità, così come, peraltro, nel mondo profano, si adopera a tutto ciò l’uomo medico.
In entrambi i mondi, sia profano (medico) che massonico, dobbiamo operare con grande attenzione, con impegno a capire ed a migliorare. Come la Massoneria, anche la Medicina persegue i principi di amore fraterno, soccorso e verità.
Posso dire che il mio percorso iniziatico mi ha dato ancor più l’opportunità di maturare pensieri, considerazioni e riflessioni, non solo sulla mia condizione di uomo, nel suo aspetto profano di medico e di Massone, ma anche sul rapporto con chi soffre.
Deve comunque esistere sempre un sano rapporto tra scienza e etica, da porsi alla base dell’evoluzione della ricerca e della medicina, oltre che della Massoneria, per il miglioramento della vita dell’uomo, sia per la salute del corpo e della mente, sia per l’inserimento dell’opera dell’uomo nell’ambiente in cui vive.
Non a caso, nei rituali della Massoneria, vengono impartite lezioni di principi morali presenti anche in Medicina, quali: le questioni etiche sollevate dallo sviluppo della tecnologia, le tematiche dell’antropologia filosofica, dell’etica medica e della filosofia della medicina e della salute.
Il rapporto tra scienza ed etica è da sempre alla base dell’evoluzione della ricerca per il miglioramento della qualità della vita, sia per quanto concerne la salute del corpo e della mente, sia per quanto riguarda l’impatto dell’opera dell’uomo sull’ambiente nel quale vive.
“La salute va (dunque) custodita e curata come equilibrio fisico-psichico e spirituale dell’essere umano. È una grave responsabilità etica e sociale lo sperpero della salute in conseguenza di disordini di vario genere, per lo più connessi con il degrado morale della persona. La rilevanza etica del bene della salute è tale da motivare un forte impegno di tutela e di cura da parte della stessa società …” (così scrive Giovanni Paolo II in una lettera indirizzata al Presidente della Pontificia Accademia della vita, con oggetto: “Qualità della vita e etica della salute”). (1)
In ambito medico, il rapporto malato-medico, sin dai tempi di Ippocrate, si basa su di un dialogo fra due persone, fatto di ascolto, di rispetto, di interesse; un autentico incontro tra due uomini liberi, ’incontro tra una “fiducia” (quella del malato) e una “coscienza” (quella dell’operatore) (cfr. Giovanni Paolo II, 1980).
Sia la Medicina che la Massoneria sono nate obbligatoriamente con l’uomo, ed in entrambe l’uomo ricerca la conoscenza, sviluppa teorie e tende alla loro successiva applicazione pratica.
Per Ippocrate, i fondamenti del rapporto tra medico e paziente sono improntati sulla “philia “-amicizia -e sull’ “agape”-affetto -.
In questo ambito, il miglior comportamento professionale del Medico è quello di attenersi, oltre che alle regole del buon padre di famiglia, anche a quelle dell’uomo libero, di buoni costumi e della libera muratoria. Il medico poi deve sempre avere presente il rispetto massimo per il Paziente, la tutela della sua salute e della sua riservatezza, il conforto umano, la salvaguardia e difesa della dignità, la guida nella ricerca della via per la guarigione. Bisogna tornare al medico ippocratico, che ascoltava e dialogava, ed abbandonare la figura del medico che riduce il rapporto con il malato ad un atto tecnico, silenzioso e distaccato, in quanto, così facendo, il medico si distacca dalla sua primaria funzione di buon padre e franco alleato. Per fortuna, tanti sono i professionisti che dedicano tempo, energie, professionalità e coinvolgimento personale ai malati, anche superando i limiti del proprio ruolo istituzionale, dei regolamenti, del contratto di lavoro, occupandosi a tempo pieno dei pazienti. (2)
Il fine esclusivo e’ il malato. La deontologia professionale disciplina i doveri del medico, l’etica e la sua morale, e si richiama alla sua coscienza di uomo e professionista (per Aristotele, l’espressione “tà ethikà” significa le cose morali o della morale).
Nell’ Art.3 del Codice deontologico, che disciplina i Doveri del medico, si legge: “Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia,in tempo di pace e in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. La salute è intesa nell’accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona”.(3)
Il medico deve essere anche in grado di leggere le problematiche antropologiche e morali che sorgono dallo sviluppo tecnologico e scientifico, nonché dalla prassi, con lo scopo finale del rispetto dell’uomo in qualsiasi condizione di salute, di infermità o di disabilità.
Ogni volta in cui, per grave malattia, breve o lunga, si arriva al FINE VITA, si devono prendere decisioni molto difficili, sia per la persona direttamente coinvolta, sia per tutti i suoi cari.
Purtroppo non sempre si riesce a passare all’Oriente eterno velocemente e con dignità, e certe volte è proprio il progresso biomedico e biotecnologico ad allungare questa delicata e tormentata fase.
Trattasi di mia considerazione mia personale e probabilmente non condivisa dai più.
Sono dell’avviso che prolungare la vita, in presenza di malattie terminali, senza più alcuna aspettativa e speranza, porti solo ad allungare l’agonia ed una mera sopravvivenza.
Un tempo le malattie gravi, acute ed incurabili, dopo la loro diagnosi, esitavano per lo più nel decesso.
Ora, con l’aiuto di strumenti, cure e macchinari, si è in grado di mantenere in essere, anche per lungo tempo, le funzioni vitali, in modo artificiale, ma ciò non incide sulla qualità della vita ( spesso inesistente ) e mina grandemente la possibilità di scelta sia del malato terminale che dei suoi cari.
Il medico, per parte sua, davanti alle nuove strumentazioni, non ha più quel ruolo di una volta e, cioè, quello di scegliere, in scienza e coscienza, con quel paternalismo medico che lo contraddistingueva, la terapia da intraprendere per il bene del paziente.
In Italia, purtroppo, rispetto a tanti paesi europei (lasciatemi dire più evoluti), non vi sono ancora disposizioni in merito al fine vita.
Basti dire che siamo (vergognosamente) addirittura tra gli ultimi a promuovere l’utilizzo della morfina nella fase terminale della vita.
Varie sono le tematiche che coinvolgono il fine vita, quali: -l’accanimento terapeutico, molto discusso nell’ambito bioetico; -la sospensione delle cure, o interruzione dei trattamenti sanitari attuati nello stato vegetativo permanente, in relazione alla quale ci attestiamo all’8% contro il 90 % degli USA ed il 50% della Francia; -il testamento biologico, che consente di dare disposizioni anticipate per il caso di una malattia terminale o in fase avanzata o inguaribile (coma irreversibile) o invalidante, che renda incapaci di comunicare ed esprimere la propria volontà; -l’eutanasia, quale atto del medico, volto a provocare la morte del paziente sotto sua esplicita volontà. Suicidio assistito o Omicidio del consenziente?
Riporto, sul tema, alcuni passi della tavola da me tracciata qualche anno fa, ancora apprendista, dal titolo “Eutanasia e Massoneria”, nel corso di momento difficile, sia come medico che come figlio. In quel periodo sono stato direttamente coinvolto nella scelta, propostami dai colleghi, di terapie oncologiche invasive oppure palliative.
Dovevo dunque districarmi tra le varie problematiche che mi si proponevano:
- il rispetto della volontà di mio padre, che mi aveva espresso il desiderio di non soffrire e di morire con dignità,
- l’accanimento terapeutico,
- l’eutanasia passiva.
Davanti alle difficili scelte, ho cominciato a documentarmi sulle varie problematiche, dell’eutanasia, dell’accanimento terapeutico ecc., estendendo la mia ricerca anche all’interno della Massoneria per individuare l’atteggiamento dei Massoni in queste situazioni di rapporti tra malattia e vita. Alla domanda se “l’eutanasia è il solo modo per morire dignitosamente”, si può rispondere, considerando una delle caratteristiche definitorie dell’eutanasia, che il suo obiettivo è quello di ridurre la sofferenza, tendendo alla morte senza dolore e con dignità.
Per altri l’eutanasia è omicidio.
Umberto Veronesi, medico-oncologo, scienziato, ateo, si è espresso sulla “dolce morte”, dichiarando che “ogni persona ha diritto di autodeterminarsi”. Il suo modello di eutanasia si rifà a quello olandese, ove l’eutanasia è già ammessa, addirittura anche per i
minori, a partire dai 12 anni compiuti. Ma si può o no consentire che una persona induca volontariamente la morte di un’altra, gravemente malata e/o fortemente sofferente, per porre fine al suo martirio?
E, d’altra parte, decidere della propria vita significa anche poter delegare la propria fine ad altre persone?
In relazione alla morte “pianificata” di Lucio Magri, in una clinica svizzera, si sono delineati due punti di vista contrapposti, espressi da due editorialisti e, precisamente, quello di Marco Travaglio, per il quale “Il medico salva, non uccide” e quello di Paolo Flores d’Arcais, per il quale bisogna essere “Liberi di vivere e morire”.(4)
Il problema dell’eutanasia non è solo della nostra epoca.
Infatti, al tempo di Ippocrate, i medici si trovavano di fronte pazienti che chiedevano loro di essere aiutati ad anticipare la propria morte ed è per questo che, nel cosiddetto “giuramento d’Ippocrate”, si trova scritto: “Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio”.(2)
Lo stesso Platone ne “La Repubblica” afferma che la medicina deve lasciar morire i malati inguaribili senza tenerli artificiosamente in vita.
Nell’Antico Testamento si trova un caso di suicidio assistito, quello del Re Saul, ad opera di un suo soldato, che poi verrà condannato a morte dal Re David.
Per Seneca l’uomo saggio vive finché deve e non finché può.(4)
Il problema dell’eutanasia, agli inizi dell’era moderna, viene affrontato anche dal medico e filosofo inglese Francesco Bacone ( Sir Francis Bacon ), che invita i colleghi ad imparare “l’arte di aiutare gli agonizzanti a uscire da questo mondo con più dolcezza e serenità”(2).
L’Eutanasia è anche conseguenza del testamento biologico, là dove contenga l’espressa richiesta e/o autorizzazione del paziente(5), salva ogni problematica relativa alla sua concreta attuabilità in relazione alle leggi dei vari paesi.
Il testamento biologico o living will del mondo anglosassone è “l’espressione della volontà di una persona che, in condizione di normale lucidità mentale, intende non acconsentire a terapie nell’eventualità in cui non potesse essere in condizioni di acconsentire o no alle cure del caso (consenso informato) per malattie traumatiche cerebrali irreversibili, invalidanti e malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano la normale vita di relazione”.(3)
Anche senza dover affrontare la difficile problematica dell’eutanasia, ritengo che, in ogni situazione in cui la morte è inevitabile, sia quantomeno necessaria la somministrazione di farmaci che tolgano e/o riducano sensibilmente il dolore, come la morfina, che può accompagnare il paziente alla morte con minore sofferenza e con dignità(4).
Per molti, in ogni caso, l’eutanasia è sicuramente, pur se dolorosa sia per la famiglia che per il medico che la va a praticare in quei pochi modi consentiti ( proprio allorché ricorre solo alla morfina), una scelta accettabile, volta ad evitare il prolungamento di sofferenze inutili e lesive della dignità del paziente, dovendosi invero vivere con dignità e con pari dignità morire(4).
Emblematico ed ancora molto dibattuto è il caso di Eluana Englaro la quale, a seguito di un incidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per ben 17 anni, fino alla morte, sopraggiunta solo a seguito di interruzione della nutrizione artificiale in data 9 febbraio 2009, su decreto del 9 luglio 2008, con il quale la Corte d’Appello Civile di Milano aveva autorizzato il padre, Beppino Englaro, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzata che la manteneva in vita per «mancanza della benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno».
Beppino Englaro non ha mai avuto dubbi sul diritto a morire di Eluana, sostenendo che: “Non è eutanasia ma una scelta di libertà” in quanto la decisione era vincolata alla certezza che la giovane avrebbe scelto di morire e non di vivere artificialmente, privata delle capacità percettive e di qualsiasi contatto con il mondo esterno.
Libertà da una via senza uscita e senza ritorno.
Cosa pensa e come si comporta la Massoneria in proposito?
In primo luogo la Massoneria crede nella libertà e nella dignità della persona.
La libertà, intesa nella sua accezione più ampia, implica il riconoscimento delle opinioni altrui mettendo in discussione le nostre convinzioni.
La Massoneria -che, come sappiamo, è una istituzione non religiosa -spinge gli uomini a meditare sulla malattia e sulla problematica dell’eutanasia e li aiuta ad elaborare una coscienza indipendente ed un pensiero autonomo.
Sul tema, riporto l’incontro-confronto dal titolo“ Accanimento terapeutico e biotestamento”, tra i due interlocutori Don Renner, teologo dell’Istituto di scienze religiose di Bressanone, e l’allora Gran Maestro Gustavo Raffi, nel quarto seminario di studi massonici tenutosi il 28 novembre 2009 ad Udine, presso il Palazzo Kechler.
Il teologo ha ivi affermato che: “La morte e la malattia sono parti integranti della vita e non dobbiamo trincerarci dietro allo spauracchio dell’eutanasia”, mentre l’ex Gran Maestro ha rimarcato “la necessità di rispettare la volontà del malato contro ogni possibile accanimento terapeutico per preservare la dignità della persona anche nei momenti estremi della vita”(6).
Il tema dell’eutanasia inoltre è sempre ricorrente nelle allocuzioni dell’ex Gran Maestro Gustavo Raffi, tanto da ritrovarlo come tema centrale in un incontro-dibattito dal titolo: Eutanasia-Massoneria: “ogni essere umano possa restare padrone della sua vita e della sua morte” tenutosi in data 14 aprile 2007, a Rimini.
Nell’allocuzione, il Gran Maestro Gustavo Raffi affermava: “Vorremmo che ogni essere umano date certe condizioni ben definibili sul piano scientifico e deontologico, possa restare padrone della sua vita e della sua morte e non giacere come un prigioniero incatenato ad un corpo che è divenuto per lui solo una prigione inaccettabile”… “”I Massoni non hanno timore di interrogarsi sul tema del dolore e della morte, ma anche di porsi qualche interrogativo nel merito sulla questione del diritto di concludere con dignità il cammino dell’esistenza. La vita è certamente un dono, e rispettiamo coloro che ritengono inaccettabile abbandonarla anzi tempo anche se posti nelle peggiori condizioni. Si tratta di una convinzione che fonda le sue ragioni in motivazioni profonde e serissime, ma tale convinzione dovrebbe legittimamente determinare le scelte di coloro che la professano, e non ricadere come un diktat valido per tutti”(7).
Per quanta mi riguarda, rifiuto l’accanimento terapeutico.
Il confine tra l’eutanasia attiva (negata) ed il rifiuto dell’accanimento terapeutico (accettato) è molto sfumato, tanto che il giudizio viene rimesso in definitiva ai medici.
Deve certamente dissuadersi l’uomo che intenda togliersi la vita, ma ogni certezza sfuma quando non di vita si tratti, ma di mera – e spesso dolorosissima- sopravvivenza.
Più semplice è il discorso relativo all’eutanasia passiva (cioè sospendere quella terapia abituale che serve a prolungare la vita, in cui si procura la morte sospendendo le cure), la quale è consentita in ambito ospedaliero nei casi di morte cerebrale, pur previo interpello dei parenti e permesso scritto del primario, del medico curante e di un medico legale.
In questo ambito, il miglior comportamento professionale del Medico è quello di attenersi in primo luogo, oltre alle classiche regole del buon padre di famiglia e dell’uomo libero e di buoni costumi, al rispetto massimo del Paziente, alla tutela della sua riservatezza, al conforto umano, alla salvaguardia e difesa della sua dignità.
E’ ovvio che, nella mia posizione di medico nella vita profana, devo perseguire la vita del malato e non la sua morte.
L’eutanasia coinvolge varie problematiche di natura giuridica ed etica.
V’è da auspicarsi che si definiscano per legge tutte le situazioni in cui si possa accedere all’eutanasia, nel pieno rispetto della dignità dell’uomo e del suo diritto ad una morte dignitosa.
Per secoli le regole del rapporto guaritore-malato si sono basate sul giuramento di Ippocrate, a cui dobbiamo anche il concetto di segreto professionale. L’etica ippocratica riflette l’ideale del medico filantropo al servizio di tutti, al di sopra delle divisioni religiose, politiche, culturali, sociali ed economiche.
Per Ippocrate il dovere del medico è fare il bene del paziente: compito del malato è accettarne l’operato. Ricorrendo alle parole di un Fratello, già Gran Maestro, Virgilio Gaito, possiamo affermare che: “La Massoneria si può paragonare ad una Facoltà di Medicina. Questa non ha come programma quello di intervenire per porre rimedio alle malattie che colpiscono gli uomini, bensì solo ed esclusivamente quello di formare buoni medici ai quali e solo a loro, spetterà poi il compito di guarire i pazienti.”
E’ dovere del Massone prendersi cura della sofferenza e cercare di alleviarla perché per il Massone ” Là dove c’è una Persona che soffre, c’è mio Fratello…”
Pertanto, quando si diagnostica ad un malato la fine imminente ed ineluttabile, il medico e, ancor più, il Medico-Massone, deve rivedere in maniera sostanziale tutte le procedure diagnostiche e terapeutiche, mettendo al bando quelle che non generano confort, ma solo ansie, tanto da aumentare la sofferenza ed il disagio del paziente e dei suoi familiari.
Riporto qui di seguito l’art.39 e l’art.38 del Codice di Deotologia Medica.
Art.39:“ Il medico non abbandona il paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza, ma continua ad assisterlo e se in condizioni terminali impronta la propria opera alla sedazione del dolore e al sollievo dalle sofferenze tutelando la volontà, la dignità e la qualità della vita. Il medico, in caso di definitiva compromissione dello stato di coscienza del paziente, prosegue la terapia del dolore e nelle cure palliative, attuando trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finché ritenuti proporzionati, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento.”
Art.38:”Il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento in forma scritta, sottoscritta e data da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale…Il medico, nel tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, verifica la loro congruenza logica e clinica con la condizione in atto e ispira la propria condotta al rispetto della dignità e della qualità di vita del paziente, dandone chiara espressione nella documentazione sanitaria. “
In ogni caso, quando ci troviamo di fronte ad una diagnosi di morte imminente, deve essere assolutamente istituito il protocollo di cure di fine vita, in relazione al quale tutto dovrà essere rivolto ai bisogni “nuovi”, reali, dei pazienti.
Dobbiamo togliere al paziente terminale il dolore, la dispnea, la nausea, il vomito, ecc. mediante una terapia del sintomo programmata, senza aspettare l’insorgenza parossistica del disturbo. Non bisogna aggiungere sofferenza alle ultime fasi della vita dei malati terminali con cure standard di assistenza che prolungano solo una sopravvivenza, senza una qualità di vita accettabile.
Serve dunque un vero e proprio cambio di passo anche nell’azione del medico che ha in cura il paziente, che si può concretizzare in un nuovo protocollo di cure di fine vita, proprio per ridurre la sofferenze e alleviare i sintomi, onde giungere alla morte con dignità.
Ma qual è il rapporto dell’uomo profano e dell’uomo massone con la morte?
La morte fa sempre paura.
Fa paura all’uomo profano perché è associata alla sofferenza, al dolore fisico, al dolore “sentimentale”, all’ignoto che lo attende, alla perdita degli affetti terreni.
Fa paura all’uomo massonico, per la sua naturale fragilità umana. Molto può fare la continua riflessione sul tema, costantemente presente in Massoneria, per dare la forza di un nuovo stato, di un distacco consapevole, di quella rinascita che ritroviamo nei rituali dell’iniziazione e dei passaggi di grado. (8)
Noi, attraverso i riti ed il rituale dei nostri passaggi, sperimentiamo speculativamente la morte in vita cercando di individuare quella coscienza che, una volta uscita dal corpo inerme, senza vita, dovrà riuscire a continuare ad avere una ragione di vita come realtà autonoma perché nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.(9)
Da ultimo, un accenno alla cremazione, pratica di “sepoltura” che oggi si va delineando e che sarà senz’altro quella del futuro.
Con il fuoco della cremazione, il cadavere torna ai suoi elementi base e, a mio modo di vedere, può configurarsi come il ritorno al G.A.D.U..
La cremazione è sempre esistita, ad eccezione del contesto del cristianesimo, che la considerava una pratica pagana.
Troviamo reperti di cremazione nei vari periodi, da quello preistorico sino ai giorni nostri.
La cremazione esisteva all’età della pietra e nel neolitico.
Nel periodo greco ed etrusco, non era una prassi comune ed era riservata solo alle persone di un certo rango e lignaggio, quale sinonimo di purificazione e liberazione dello spirito.
La cremazione era una pratica esclusiva anche delle famiglie nobili e dei corpi dotati di status privilegiato nel periodo dell’impero romano perché era una cerimonia costosa e solo i ricchi potevano permettersi le sontuose cerimonie funebri con le pire, gli unguenti ecc.
Anche nella cultura ebraica si trovano documenti in cui si parla di cremazione quale cerimonia di élite e riservata solo a personaggi morti dopo gesta prestigiose ( Davide, Salomone ecc.).
La Massoneria, nell’800, in periodi di epidemie e di infezioni, attraverso i suoi medici esperti e sfidando i pregiudizi dei secoli passati dell’oscurantismo cristiano-cattolico, ha supportato in ogni modo un assetto legislativo volto a favorire l’incenerimento del corpo, trattandosi di pratica assolutamente necessaria per garantire il più possibile, pur con tutte le gravi difficoltà ancora non arginabili, l’igiene e la salute dei cittadini.
A tale proposito il GOI (istituito nel 1861, anno di nascita dello Stato Italiano) il 26 Maggio del 1874 emetteva una delibera di impegno a promuovere presso i Municipi l’uso della cremazione.
Il detto impegno, solerte e proficuo, si concretizzava già nel 1878 con la fondazione della “REALE SOCIETÀ’ ITALIANA DI IGIENE” e della prima “Società per la Cremazione Italiana”, entrambe riunite nella “Lega Italiana delle Società di Cremazione”.
Tutte queste associazioni erano presiedute o coordinate da esponenti della Massoneria.
Grazie all’intervento della Massoneria, si promulgava la legge Crispi del 1888, che faceva entrare ufficialmente la pratica della Cremazione nel nostro Ordinamento.
Faccio ora mie le conclusioni del colloquio intercorso, sulla cremazione, tra l’architetto Augusto Guidini ed il Fratello medico e scienziato Paolo Gorini:
“La cremazione non è altro che il sistema più decoroso ed innocuo per restituire alla natura gli elementi primi ed indistruttibili che le sono necessari per fabbricare “nuovi viventi”. La natura per mettere insieme l’organismo umano trae dalla terra alcuni principi solidi fissi, e ne compone l’ordito. Poi con sostanze volatili, che togli dal seno dell’aria atmosferica, ne compone il tessuto. Avvenuta la morte, essa ridomanda la materia per fabbricare nuovi viventi”.
Chiudo riportandomi alle conclusioni del Maestro Architetto Giovanni Focaccia, allora Oratore della nostra officina, nella sua tavola in data 10 marzo 2014, per la commemorazione dei defunti:
“La morte conduce all’ignoto, all’imperscrutabile secondo le conoscenze e l’esperienza umana. Si va verso un ignoto che spaventa soprattutto perché non è dato conoscere se ed in che forma ne avremo coscienza. La vita è, infatti, visibile, mentre il divenire è nascosto. Però noi Massoni sappiamo che, grazie alla catena di unione, la coscienza di chi è passato all’Oriente eterno rimane costantemente viva e presente tra le colonne del nostro Tempio. “
La vita è piacevole. La morte è pacifica.
E’ la transizione che crea dei problemi.
Isaac Asimov
Fr:. Maestro Architetto Ivan N.
(Letta nella Tornata del 12 03 2015)
Note – Bibliografia:
- Messaggio tramite lettera di Giovanni Paolo II indirizzata al presidente della Pontificia Accademia della vita relativamente all’oggetto “Qualità della vita e etica della salute” ai Partecipanti alla XI Assemblea Generale della PAV – 19 Febbraio 2005 )
- Giuramento di Ippocrate -http://it.wikipedia.org/wiki/Giuramento_di_Ippocrate
- Codice di Deontologia Medica. 4)IL TESTAMENTO BIOLOGICO E L’EUTANASIA-1)Eutanasia -Da Wikipedia, l’enciclopedia liberahttp:// it.wikipedia.org/wiki/Eutanasia 5)Eutanasia -Definizione, storia, forme, stato giuridico.Dott. Enzo Iasevoli-http://www.lionspomigliano. it/Bioetica/Eutanasia.htm
- Dialogo sulla vita -Fecondazione assistita. Aborto. Staminali. Adozioni e Aids. Eutanasia. I confini della ricerca. L’incontro possibile tra scienza ed etica cristiana secondo il cardinale Carlo Maria Martini colloquio tra Carlo Maria Martini e Ignazio Marino http://www.sociologica.it/documenti/vita.pdf
- Sulla bioetica ed in particolare sulla eutanasia -http://www.massoneriapistoiese.it/index.php?pagina=90
- Erasmo Notizie – Bollettino d’informazione del Grande Oriente d’Italia – A palazzo Kechler, il quarto seminario di studi massonici -Anno X/XI -Numero 22-2009/1-2 2010 -15 dicembre 2009 -31 gennaio 2010
- Eutanasia: Massoneria: Raffi (Goi), “ogni essere umano possa restare padrone della sua vita e della sua morte”.
http://www.grandeoriente.it/index.php?option=com_content&view=article&id=676:rimini-14aprile-2007-eutanasia-massoneria-raffi-goi-qogni-essere-umano-possa-restare-padrone-della-sua-vita-edella- sua-morteq&catid=25:comunicati&Itemid=13 - Iniziazione e segreto massonico. Autore Manlio Maradei -Casa editrice Bastogi (1997)
- Il Massone e la Morte.www.montesion.it/_documenti/_goi/_logge/_loggepagine/paracelso3.htm