M E S S A G G I O
del
GRAN MAESTRO DEGLI ARCHITETTI
del
RITO SIMBOLICO ITALIANO
In relazione all’articolo apparso su “La Repubblica” del 2.11.03 contenente l’intervista al Fr: Manlio Cecovini, ed in attesa che il Gran Maestro ed il Sovrano Gran Commendatore del R.S.A.A. prendano posizione riguardo alle dichiarazioni ivi contenute, ritengo mio dovere, non per spirito polemico ma per amore di verità, far chiarezza ancora una volta in merito ai rapporti esistenti fra i Riti – compreso ovviamente il R.S.I. che ho l’onore di rappresentare – e l’Ordine.
E’ un argomento che ho ritenuto opportuno affrontare più volte nelle sedi più idonee, al fine di chiarire – per quanto possibile, visto che ancora si fanno dichiarazioni come quella in oggetto – che fra i Riti, tutti e ciascuno, e l’Ordine la relazione non può essere che di assoluto rispetto reciproco senza alcuna interferenza per quanto concerne i regolamenti interni e la ritualità, mentre vi è e vi deve essere una totale comunanza di intenti per quello che è lo scopo cui tendono tutti gli uomini liberi e di buoni costumi.
Quindi nessuna posizione di preminenza o di sudditanza, nemmeno formale, tra i Riti e l’Istituzione, con la speranza che ci si renda conto di ciò per evitare affermazioni che stonerebbero anche nel mondo profano e con le quali si cerca tendenziosamente di stabilire una gerarchia tra gli insegnamenti offerti dagli uni e dall’altra.
Colgo l’occasione per trascrivere le conclusioni cui si è addivenuti in occasione del recente incontro di Torino – organizzato dal Rito Simbolico Italiano – del 4 ottobre 2003 sul tema
“La funzione dei Riti nella libera Muratoria del terzo millennio”, convegno al quale hanno partecipato e portato il loro contributo insigni rappresentanti di tutti i Riti riconosciuti dal Grande Oriente d’Italia. “Le dotte esposizioni dei vari oratori ci consentono, a mio avviso, di raggiungere lo scopo che ci eravamo prefissi nell’indire questo Convegno e cioè dare una risposta alla domanda che ne costituisce l’argomento: quale sia la funzione dei Riti nei confronti dell’Ordine. Infatti lo studio parallelo e l’applicazione costante di simbologie e tradizioni diverse non può che produrre l’auspicato passaggio dalla diversità all’unità, mentre la ricerca spirituale condotta ed approfondita nei vari campi ha come risultato quello di offrire a ciascuno di noi una visione sempre più ampia della Realtà se accogliamo nel nostro cuore e nella nostra mente, insieme a quella parte della Verità che siamo riusciti ad intravedere con il nostro sforzo personale, anche la Verità che è stata colta dagli altri.
Mai come ora ho trovato estremamente utile il paragone che il mio Maestro era solito fare tra la verità ed i diamanti: ne ho parlato molte altre volte ma ritengo utile ricordare che la Verità assoluta è come un immenso diamante dalle infinite sfaccettature, ed ogni uomo, dalla posizione in cui si trova, è in grado di vederne solo alcune, e questa è appunto la sua verità. Ma se egli non rifiuta ed anzi è disponibile ad accettare quella parte della Verità che gli altri hanno a loro volta intravisto, la sua visione diverrà sempre più ampia e più vicina all’Assoluto.
Ed infatti non è pensabile che un solo Rito, così come un solo culto o una scuola filosofica sia in grado di elaborare l’enorme congerie di concetti, idee, supposizioni, intuizioni ecc. che nel corso dei secoli, fin dagli albori dell’umanità si è venuta accumulando su quello che è il punto focale della ricerca di ogni essere umano: chi sono, da dove vengo e dove vado. Così come dobbiamo riconoscere i meriti delle varie scuole che si sono succedute nell’evolversi del pensiero umano, analogamente dobbiamo essere grati a coloro che in ciascuno dei Riti di cui oggi parliamo hanno portato il loro contributo alla ricerca comune.
Da tutto ciò l’Ordine non può che trarre un indubbio vantaggio e lo conferma il fatto che, con il riconoscimento di vari Riti, ha inteso decentrare la sua opera di studio e di approfondimento dei vari aspetti della Tradizione, compito questo quanto mai importante ma anche gravoso, di cui l’Istituzione non potrebbe farsi totalmente carico. Ma è nell’Istituzione che debbono confluire gli apporti dei Riti soprattutto se consideriamo il potenziale energetico costituito dal lavoro svolto da ciascuno di essi e l’arricchimento che ne consegue per tutti i Fratelli.
Di questo movimento dalla periferia al centro, di questo cammino dalla diversità verso l’Unità, possiamo fare molti esempi: prendiamo le mosse dalla ricerca e dalla scoperta dei punti in comune esistenti tra le ritualità più diverse e non solo tra quelle massoniche. Non possiamo fare a meno di notare come in ogni tipo di relazione umana, anche le più comuni, sia invalso un atteggiamento che porta inevitabilmente alla regressione anziché all’evoluzione: mi riferisco all’abitudine di cercare sempre e ovunque i motivi di contrasto e non quelli di accordo, di notare prima di tutto ciò che divide anziché ciò che unisce.
Tutto ciò lo riscontriamo continuamente nella vita quotidiana; ma ove subentri un comportamento rituale, specialmente in Massoneria, si impone la conciliazione degli opposti, che debbono essere visti e vissuti non come contrari ma come complementari. Questo equilibramento degli opposti può avvenire sul piano orizzontale, che è quello della vita quotidiana, ma anche sul piano verticale, ove si muovono gli iniziati. Un esempio molto chiaro è quello della conciliazione tra odio e amore, che nella quotidianità può dar luogo all’indifferenza, ma a livello spirituale ha come risultato la comprensione amorevole.
Ma l’apporto che i Riti possono dare all’Istituzione e all’umanità intera, nei loro compiti di studio e di ricerca, va molto al di là di un semplice fatto culturale o filosofico. Infatti è lecito pensare che nel corso dei secoli molti iniziati ed altri uomini di pensiero abbiano progredito sulla via della realizzazione e di questa loro esperienza abbiano voluto tramandare la memoria ai posteri: senonchè, trattandosi di esperienze che andavano al di là del livello mentale, era impossibile comunicarle con il normale linguaggio e si rendeva quindi necessario ricorrere a simboli e metafore.
La Tradizione ci ha quindi trasmesso tutta una serie di messaggi che debbono essere colti intuitivamente e quindi decifrati nel loro profondo significato simbolico. Questo è appunto uno dei compiti più importanti, se non il più importante, che spetta a ciascun Rito, a seconda di quel ramo della Tradizione cui fa capo, e che certo non potrebbe essere svolto dal solo Ordine, il quale si limita a raccogliere questa messe preziosa e ad utilizzarla per le proprie finalità, comuni a tutti i Riti. Ecco ancora una volta che in pratica si effettua il passaggio dalla diversità all’unità.
E’ questa la conclusione alla quale volevamo giungere al termine di questo Convegno: i rapporti tra i Riti e l’Ordine si concretizzano, a mio avviso, in una separazione di programmi di lavoro, il cui risultato tenderà poi a confluire in un unico patrimonio destinato ad arricchire tutto l’eggregore massonico. Di conseguenza, ogni Rito è libero seguire le sue regole ed i suoi metodi, purché non perda mai di vista il fine ultimo del suo lavoro, che è quello di creare un Tempio comune per tutti gli iniziati ed una possibilità di realizzazione per tutta l’umanità”.
Ottavio Gallego
Gran Maestro degli Architetti
del Rito Simbolico Italiano