Antichi Collegi

Antichi collegi

Con questa tornata finiamo di trattare la religione arcaica romana e tranne quando parleremo di Mitra e del Cristianesimo a Roma, non ci occuperemo più di temi religiosi anzi preferisco dire sacrali.

L’aver cercato di fare qualche accenno nei lavori di quest’anno al sacerdozio romano e alla religione arcaica è servita da stimolo per approfondire il tema del sacro e per porci l’approfondimento del rapporto  fra il Massone e il sacerdote antico.

Vediamo ora brevemente i principali sacerdoti dell’antica Roma oltre i Pontefici già accennati.

A Roma i tre grandi Dei che rappresentano la Triade Capitolina sono Giove, Marte e Quirino i quali  sono celebrati da tre Flamen e da altri dodici Flamini minori che si occupavano di una lista di dei minori.

Il più importante fra questi sacerdoti era il Flamen Dialis (quello di Giove) unitamente alla sua consorte la Flamina.

I Flamen erano riconoscibili dal tipico copricapo a punta detto apex e dalla toga senatoria.

Molte erano le proibizioni a cui era astretto il Flamen non poteva andare a cavallo, non poteva prestare giuramento, non si poteva assentare da Roma per tre notti consecutive,  non poteva mangiare carne cruda e farina fermentata non poteva toccare capre e cani, ma sedeva al Senato e poteva vestire della toga del senatore.

I motivi di tali divieti che appaiono bizzarri ad una prima lettura sono legati al fatto che il Flamen ha una sacralità diversa da ogni altro sacerdote è quasi inumano, una statua, proprio perché rappresenta l’altro, diverso dal terreno è colui che vive perennemente in una dimensione sacra quindi non può toccare nulla d’impuro e non può essere legato a nulla e a nessuno per questo non può giurare.  E’ lo sforzo di fare di una coppia umana una coppia altra paradigma del sacro personalizzato.

Interessante è vedere che anche la Flamina è importante al pari del marito, tanto che il Flamen non può divorziare, e se rimane vedovo deve rinunciare al sacerdozio: pertanto è importante la coppia che rappresenta plasticamente l’unione del maschile e del femminile potremmo dire in termini massonici la maestria raggiunta nell’unione del positivo e del negativo che si sublima nel sacro nell’uno è lo Zolfo ed il Mercurio che legati dal Sale realizzano l’Opera.

I Salii invece erano i famosi sacerdoti danzatori di Marte da lì il termine appunto di saltellanti, erano  divisi in due gruppi da dodici essi portavano in processione gli scudi bilobati chiamati ancilia. Si tramandava che lo scudo originale, uno dei dodici, fosse caduto dal cielo all’epoca di Numa e che lo stesso incarico un fabbro di fabbricarne altri undici identici al fine di confonderli ed evitare che fosse trafugato quello celeste.

Ma in realtà questa storia può essere letta anche in modo diverso: si nasconde l’opera divina, sacra fra copie umane: l’iniziato solo è capace di discernere le cose, di trovare l’esperienza del sacro fra quelle umane che spesso si travestono di sacralità ma sacre non sono perché fatte da mano umana.

E’ un monito per noi iniziati !

Essi danzavano ad un ritmo incessante ed eseguivano una danza a tre tempi, erano dotati di armi pesanti e svolgevano il loro rito a Marzo e ad Ottobre che segnava rispettivamente l’inizio e la fine del periodo dedito alla guerra. I Salii recitavano un antichissimo Carmen Saliare in latino arcaico.

Sono la rappresentazione vivente della guerra e attraverso il loro rito attivavano la protezione di Marte sugli eserciti romani.

 

Poi c’erano i Fratres Arvales cioè i fratelli dei campi che si riunivano in un collegio di dodici membri i quali celebravano in un bosco sacro a sud ovest della città la liturgia della Dea Dia, anch’essi cantavano un Carmen detto Arvale per assicurare la fertilità dei campi coltivati.

Questo collegio era stato fondato da Romolo a somiglianza dei dodici fratelli figli  di Acca Larentia, sua madre adottiva e quindi suoi fratelli.

Collegio dedito alla celebrazione delle forze della natura che donano ricche messi ai romani che premiano la fatica del lavoro nei campi.

Chiaramente il rito si riallaccia alle credenze primitive della Magna Mater, della Natura presente in ogni popolo antico e primitivo legato a quel grande passaggio dell’umanità che è stato il passaggio da cacciatore raccoglitore ad agricoltore, da essere selvaggio a uomo dominatore della natura che riesce ad asservirla, seminarla lavorarla e godere del frutto.

Gli strumenti, la sapienza, l’amore e la forza  profusi nel lavoro hanno trasformato l’uomo in qualcosa di più di un animale dedito alla caccia.

Con l’agricoltura è nato l’uomo, la civiltà, la religione, lo studio del cielo e della terra.

Il metodo ed il lavoro hanno fatto l’uomo e fanno il massone: dall’ominide all’uomo dal massone all’uomo migliore cioè all’iniziato che è capace d’innalzarsi dall’orizzontale per andare nel verticale.

Noi diciamo dalla livella al filo a piombo.

Alessandro Gioia