Messaggio trasmesso da Silvia Ronchey per conto di IPAZIA
in occasione del Convegno
IPAZIA (Filosofa e Scienziata IV-V sec. d.C.)
Inno alla Libertà
Fondamentalismi passati e recenti.
Collegio Sybaris
Rossano, Sabato 13 Dicembre 2014 h. 10.00 – Auditorium Amarelli
Cari fratelli riuniti a Rossano, cari uomini saggi che, per dirla con un mio giovane ammiratore tedesco, Gotthold Lessing, componete il clero laico di una chiesa invisibile, la vostra saggezza non è soltanto la Weisheit che Sarastro canta nel Flauto magico. E’ l’antica sophia dei miei predecessori greci, i cui princìpi sono connaturati all’anima umana e il cui nucleo è innato, universale ed eterno come l’anima mundi e come lo spirito del mondo. E’ la sophia dei miei successori bizantini, che mantennero vivo quel nucleo e perpetuarono il culto di quei princìpi per altri mille anni dopo la mia morte.
“Saggezza e ragione”, Weisheit und Vernunft, canta il vostro Sarastro. Mi piace quell’inno, ma sappiate che la vostra sophia è nutrita di ragione da sempre, da ben prima che si ravvivasse nel culto della vostra ragione moderna. Affonda le sue radici nella tradizione che io ho perpetuato e impartito, anche quella insieme mistica e razionale, esoterica e pratica, permeata di rito e di segreto, ma anche di un’affinità morale alla libertà politica e all’equità sociale.
Io, Ipazia, secondo alcuni sono stata una scienziata, “la più importante — si è arrivati a dire — fino a Madame Curie”; secondo altri sono stata una filosofa, “allieva di Plotino” — e chi di voi non lo è o non lo è stato? Secondo altri ancora, sono stata una sacerdotessa e una teurga. Cari fratelli riuniti a Rossano, non c’è contrasto tra queste identità, né in me né in voi. Nell’unione sapienziale degli opposti si realizza l’armonia universale e di questa complexio oppositorum io, Ipazia, sono il simbolo, l’erma bifronte che si staglia oltre i secoli a segnare il picco del mondo antico e non il baratro di una sua pretesa fine. La mia fiaccola non si è mai estinta, è passata di mano in mano, ha fatto luce al secolo dei lumi. Lo aveva intuito un mio giovane ammiratore francese, Denis Diderot.
La mia morte, nel quinto secolo, non segna la fine di un’era, ma un inizio. Dal nucleo del mio insegnamento, innato, universale ed eterno come l’anima mundi e come lo spirito del mondo, germoglierà per undici secoli la fioritura bizantina. All’olimpo del mio politeismo si sostituiranno il martirologio e il sinassario, alle narrazioni mitologiche le leggende agiografiche, alla selva dei simulacri pagani la folla delle icone — ma nulla cambierà per gli uomini saggi. I miei insegnamenti platonici non saranno incompatibili con i più alti livelli di iniziazione cristiana e si trasmetteranno, insieme alla mia filosofia, al rinascimento italiano e europeo grazie ai miei seguaci greci guidati da Giorgio Gemisto Pletone. E’ dalle fratrìai di quei greci, trapiantate a nordovest all’inizio della vostra era, che nascerà la fraternitas di cui fate parte, la vostra nuova, globale fratrìa.