La ricerca della Perfezione (2 di 2): verso la realizzazione interiore

ARMONIA E ABISSO

come cura contro la sofferenza verso la realizzazione interiore

(prima parte: click qui per raggiungerla)

Tavola-La-ricerca-della-Perfezione-02

Un giorno camminavo in montagna. Era una bella giornata estiva, soleggiata. Dopo un tratto nell’ombra del bosco, il sentiero si inerpicava tra le rocce, scheggiate dal sole e dal gelo, sino ad un lungo crinale.

Proseguivo guardando in avanti, seguendo la traccia del sentiero, così stretto che quasi si perdeva, come sulla lama di un rasoio.

A un certo punto, mi sembrava di camminare in cielo, sospeso tra le nuvole; un senso di euforia mi riempiva il cuore.

E’ stato un attimo.

E’ bastato incespicare, abbassare lo sguardo al suolo, per scoprire che a destra od a sinistra non c’era nulla che mi sostenesse, per sentirmi attratto verso il fondo Di un abisso insondabile.

. . .

L’esperienza sensoriale ci insegna che il limite della vita organica è uno solo: la morte.

Qualunque cosa pensiamo, qualunque cosa vogliamo,

qualunque cosa facciamo, viaggiamo verso il nulla.

Da qui la sofferenza, la confusione mentale, il senso di inutilità, il bisogno di accumulare beni materiali o riconoscimenti sociali, la necessità di agire, di correre sempre più in fretta.

Questa sofferenza scompare se scopriamo la verità: l’Abisso non è al di fuori di noi, al termine della nostra vita, è una componente di essa, la materia grezza di cui siamo fatti.

Non ditemi che queste sono teorie astruse: siamo vivi solo se unifichiamo spirito, anima e materia.

A ciascuno di noi, a ogni generazione, si ripropongono le stesse prove.

Il progresso economico mi ha permesso di vivere comodamente, certo, ma di per sé non mi ha reso migliore dei miei avi.

E non posso esimermi dal lavoro individuale.

Per questo sono sempre utili gli insegnamenti Tradizionali, che il lavoro collettivo ci può aiutare a meglio interpretare.

Un verso tratto dagli oracoli caldaici ammonisce:

non lasciare nell’abisso le feci della materia”.

Cosa vorrà mai dire ?

Forse mi invita a non lasciare il corpo nel mondo ?

In altre parole, mi esorta a trasformare col fuoco la parte bruta dell’uomo.

Questo era ciò che faceva Demetra con Demofonte, il fanciullo nel focolare dei Misteri Eleusini.

Perché solo chi si accosta al Fuoco, bruciando le proprie impurità, avrà la Luce.

Tutto comincia dalla “persona umana”, che (parafrasando Dante), non è nata per viver come un essere brutale, ma per seguire virtù e conoscenza.

Belle parole. Ma in pratica come si fa a sfuggire alla noia di una vita apparentemente vuota e senza senso?

Ognuno di noi può, e deve, contribuire a portare l’Armonia nell’Abisso, nel Mondo, e può farlo solo cominciando da se stesso e dai rapporti che intrattiene con i propri fratelli.

E deve farlo ogni giorno, come il Faraone ogni alba propiziava il sorgere del sole.

Possiamo partire da una semplice considerazione: chi non fa nulla e resta inerte, tende a scendere in basso per effetto della pesantezza della pietra.

Chi, invece, agisce attivamente ma in maniera scomposta, tende a muoversi sulla superficie delle cose, potremmo dire orizzontalmente; distoglie la propria attenzione dal malessere interiore, ma non si rigenera spiritualmente.

Solo chi pratica consapevolmente la ricerca della verità, della purezza e della bontà (evitando ignoranza, falsità, avidità, collera), tende a portare lo spirito nella materia, elevandola.

Questa è la c.d. purificazione col fuoco degli elementi corruttibili.

Possiamo diventare come statue, materia senza spirito, senza pace, senza gioia, impegnati a soddisfare i bisogni impellenti del corpo, finchè il logorio del tempo disgregherà i nostri atomi.

Oppure possiamo, fin d’ora, annullare ogni differenza tra materia e spirito, vivendo in pace e con gioia sino a quando la morte del corpo annullerà noi stessi nell’archetipo eterno (sempre lo stesso, qualsiasi sia il nome che gli attribuiamo, GADU, Dio Padre o come preferite).

Mi osservo.

Un forte dolore fisico o una forte emozione, un grande spavento, mi fanno restare senza fiato.

Quando mi alzo in piedi per resistere ad una offesa, aspiro.

Quando mi chino, espiro.

Se mantengo un ritmo respiratorio regolare, non sono scosso dalle passioni.

Il riso o il canto, aiutandomi ad espirare, hanno un effetto liberatorio.

Insomma, le esperienze che provo imprimono un ritmo alla mia respirazione.

Del resto i proverbi insegnano che è meglio, per chi è arrabbiato, sedersi e prendere fiato, contando fino a dieci prima di parlare o agire.

Regolando il respiro, ritrovo la tranquillità.

Nel linguaggio comune si parla di “aspirazioni” per “progetti”.

E si parla di “esalare l’ultimo respiro” per “morire”.

Forse perché l’uomo sente e pensa nella cassa toracica, non nella testa ?

Forse perché l’uomo crea  aspirando

e distrugge espirando ?

Questo ritmo circolare è la vita.

Possiamo constatarlo con un semplice esercizio.

Mettiamoci seduti, comodamente, in un posto tranquillo.

L’ideale sarebbe sdraiarsi sotto le stelle in primavera.

Ora immaginiamo di camminare a piedi nudi in un prato coperto di erba e fiori.

Guardiamolo con piacere e assaporiamo il calore dell’aria profumata, il morbido contatto dell’erba.

Inspiriamo, pensando che l’energia dell’universo entra in noi.

Attendiamo qualche secondo, trattenendo il respiro.

Espiriamo, pensando che col fiato trasmettiamo amore.

Attendiamo ancora qualche secondo, trattenendo il respiro.

Continuiamo.

Dopo un poco ci accorgeremo che siamo tornati alla nostra base positiva, alla natura, all’origine.

Siamo giunti in fondo all’Abisso, dove vive il fanciullino di pascoliana memoria.

Trovandolo, siamo pronti per riprendere la stessa via a ritroso, attraversare la foresta e salire sino alla vetta della montagna.

Qui, come narra Goethe all’inizio del Faust, potremo meditare sul disegno del macrocosmo.

Ho detto.

Fr. Stefano B.