MASSONERIA E CORRUZIONE

Gesù--mercanti-dal-tempio,-Caravaggio-1610

Devo riconoscere che, dopo aver letto il titolo della tavola che mi accingo a tracciare tra quelli proposti dalla saggezza del Presidente del Maestri Architetti per il programma di lavori di quest’anno e, ancor di più, quando ho cominciato a pensare a come svilupparla, la prima idea sovvenutami è stata: non c’è nulla da dire, in un tempio massonico, sulla corruzione.

Ancor prima di porsi questioni etimologiche, non v’è dubbio infatti che, nella accezione comune, quel termine designa una condotta antitetica ai valori della Massoneria.

Evocando una violazione di doveri associata ad un tornaconto personale, la corruzione identifica comportamenti condizionati, anzi e per meglio dire “piegati” dal luccichio e dal tintinnio dei metalli.

Dunque, verrebbe da dire che in tanto è dato parlare di corruzione in un tempio massonico, in quanto la si riconosca come uno dei vizi per isolare il quale il lavoro della libera muratoria consiste nello scavare oscure e profonde prigioni, come recita il rituale di apertura dei lavori in grado di apprendista.

D’altra parte –quasi per contrappasso- se ci si diletta a digitare l’endiadi che dà titolo a questa tavola (Massoneria e corruzione, appunto) su un qualsiasi motore di ricerca via internet, si perviene all’agghiacciante – almeno per noi liberi muratori – risultato di un accostamento, se non addirittura di un’identificazione, tra corruzione e massoneria.

Ovvero: vuoi per errori la cui macchia indelebile continua a sporcare l’immagine della nostra Istituzione nonostante grandi, pregevoli e intelligenti sforzi per cancellarla; vuoi per le pretestuose e semplicistiche strumentalizzazioni degli organi di stampa e della politica senza scrupoli; vuoi per i pregiudizi storico- religiosi e per l’avversione della Chiesa cattolica nei confronti della Massoneria, a quest’ultima continua a guardarsi in Italia, dai più, dalla opinione pubblica dalla stampa, dall’Amministrazione a tutti i suoi livelli, non solo con ostilità, ma come esempio per antonomasia di quella commistione di interessi e di quelle tendenze devianti nelle quali si ravvisa l’humus della corruzione.

In questo senso, lo spettro delle accuse varia dall’attribuire alla Massoneria lo scopo precipuo di distruggere la Chiesa cattolica, di instillare il vizio nei giovani, di perseguire la degradazione morale (opinione del clericalismo più becero, che costruisce tali tesi sulla base di passi decontestualizzati di scritti di rivoluzionari prima dei moti del 1848!), all’ormai incessante e stucchevole evocazione della Massoneria ogni qual volta la cronaca riferisce di consorterie dedite ad affari illeciti.

Ma non è su questo che la mia tavola vuol proporre temi di riflessione.

È invece il porsi della corruzione come tematica ricorrente della vita pubblica, come male endemico che comprime potenzialità e svilisce sforzi di rinnovamento, anche morale, come fenomeno non più di “carattere pulviscolare” –per usare una specifica definizione del Procuratore Generale della Corte dei Conti- ma sistemico, che rende il parlarne in questa sede perfettamente coerente con le finalità di approfondimento, di conoscenza, di ricerca interiore volte al bene dell’Umanità che qui si persegue.

Mi ha convinto di ciò il testo di una frase riportata nel resoconto di un convegno sulla corruzione organizzato da Giustizia e Libertà: (…..) occorre andare alla radice del problema, agire sulle cause (….) produrre una trasformazione della società. Per questo è necessario un ponderato intervento sul piano culturale a validità differita ed incerta.

Spetta alle componenti più consapevoli operare per ribaltare logiche consolidate e pratiche inveterate per affermare condizioni di legalità diffusa e di normalizzazione della vita civile”.

Queste parole sembrano appropriate a descrivere il ruolo che la nostra Istituzione dovrebbe assumere e la metodologia di approccio di tutti noi Liberi Muratori alle questioni della vita pubblica e profana. Una metodologia che definirei quasi di ispirazione mazziniana: pensiero e azione, animato, il primo, dal perseverante anelito di giungere al fondo del problema e di individuare soluzioni il più possibile coerenti con il contesto di valori assunti come base e congrui rispetto agli obiettivi perseguiti; la seconda (l’azione), connotata dalla tenacia del lavoro, dalla consapevolezza della mera perfettibilità del risultato e, nello stesso tempo, dell’utilità dello sforzo per il perfezionamento progressivo dell’opera, ovvero della realizzazione prima di tutto del nostro tempo interiore.

* * * *

Ciò che appena detto sa però di conclusione, quando ancora non sono entrato nel merito delle riflessioni che vorrei esporvi.

È opportuno muovere allora da alcune considerazioni sull’etimologia del termine “corruzione”.

Quello di cui abbondano cronache di malaffare, lo ho detto poco sopra, è contraddistinto dall’abuso di una posizione e dai doveri ad essa connessi.

Il vocabolo deriva dal latino cum-ruptio, che allude ad una crepa, una frattura: dunque un vulnus di una entità prima integra.

In senso fisico, designa il fenomeno del disgregamento, del disfacimento, dell’avvio di una decomposizione (esempio: la corruzione del corpo dopo la morte); in senso figurato, abbraccia in linea generale tutte le forme di decadimento della morale o dei costumi.

L’accezione giuridica del termine, nel nostro ordinamento, la si rinviene nel codice penale, in due collocazioni: l’una nell’ambito dei delitti contro la P.A.; l’altra nell’ambito dei delitti contro la libertà personale-sessuale (corruzione di minorenne): in quest’ultimo caso, il legislatore intende punire comportamenti idonei a violare la libertà morale e di autodeterminazione sessuale dell’infraquattordicenne.

Come delitto contro la P.A., la corruzione nel testo originario del codice penale, designava e puniva la condotta del Pubblico Ufficiale che per omettere o ritardare, ovvero per compiere, un atto del suo ufficio, riceveva od accettava la promessa di una retribuzione non dovuta (corruzione propria/impropria –antecedente-conseguente).

L’interesse tutelato era ritenuto prevalentemente quello della fedeltà dei dipendenti pubblici alla P.A. e del prestigio di quest’ultima.

Accanto a quel reato, il codice penale prevedeva diverse altre fattispecie connotate dall’abuso della posizione del Pubblico Ufficiale per indebiti vantaggi privati: la concussione, che postula una costrizione psicologica del privato stesso, il peculato ove il Pubblico Ufficiale si appropria di denaro od altri oggetti dei quali abbia la disponibilità per ragione d’ufficio; la malversazione (sostanzialmente peculato in danno di privati), l’abuso d’ufficio innominato, l’interesse privato in atti d’ufficio.

Si sono poi susseguite in tempi diversi varie modifiche che hanno innovato profondamente in la disciplina in materia.

In estrema sintesi e senza dilungarmi su dettagli e tecnicismi fuori luogo in questa sede, il nostro ordinamento penale ha ridisegnato le norme incriminatrici che, nel gergo comune, evocano in senso ampio comportamenti corruttivi pervenendo a questi risultati.

  • a) Estendere la platea dei c.d. soggetti attivi del reato (incaricati di pubblico servizio, in certi casi i privati);
  • b) Distinguere tra concussione vera e propria, connotata dalla coartazione psicologica ad opera del Pubblico Ufficiale e induzione indebita: reato di nuovo conio che va a punire quella condotta in cui, a seguito di pressioni non formulate in modo esplicito o comunque in forme blande, è il privato che sceglieva di attribuire un vantaggio indebito al Pubblico Ufficiale anche per conseguire un proprio vantaggio, con punizione estesa anche a quest’ultimo;
  • c) Incentrare la corruzione non sul singolo atto, ma sull’esercizio della funzione, ovvero connettere il vantaggio indebito al ruolo ricoperto dal P.U. o dall’incaricato di pubblico servizio;
  • d) Ampliare il concetto di “utilità” indebite, sino a ricomprendervi anche vantaggi di natura non patrimoniale (esempio prestazioni sessuali) e resi a terzi, cioè a persone diverse dal corrotto;
  • e) Prevedere un nuovo reato, denominato traffico di influenze illecite. Esso punisce la condotta di chiunque, fuori dal caso di concorso in corruzione, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o vantaggi patrimoniali come prezzo di mediazione illecita ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio del compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o dell’omissione o del ritardo un atto d’ufficio.
  • f) Prevedere un altro nuovo reato, la corruzione di privati (art. 2635 codice civile), che punisce i responsabili di società che, dietro dazione o premessa di utilità, compiono od omettono atti in violazione dei loro obblighi di fedeltà e dei doveri della loro funzione;
  • g) Punire come malversazione a danno dello Stato la distrazione di risorse ricevute a titolo di fondi pubblici. h) Estendere i casi di punizione del corruttore e della figura del corruttore, ricomprendendo in quest’ultima anche pubblici ufficiali o politici stranieri; i) Recentissimamente, reitrodurre la punibilità di condotte di falsità nelle comunicazioni sociali (cd falso in bilancio) già depenalizzate.

L’evoluzione della disciplina dei delitti di corruzione è riconducibile essenzialmente a due fattori:

  1. 1) La dimensione c.d. sistemica, quantomeno a livello di percezione, del fenomeno corruzione;
  2. 2) Le sollecitazioni derivanti dagli accordi internazionali.

Quanto al primo fattore, una prima constatazione della diffusione a più livelli di condotte corruttive la si ebbe già con la c.d. tangentopoli.

Da lì in avanti, le inchieste giudiziarie evidenziarono che i rapporti illeciti tra pubblici ufficiali e soggetti privati hanno assunto carattere endemico, non limitato alla compravendita, per così dire, di specifici atti d’ufficio e finalità diverse dal finanziamento illecito di partiti o movimenti politici.

Anzi, in settori ove gli interessi economici erano e sono più elevati (appalti, forniture, autorizzazioni amministrative, smaltimento rifiuti, gestione post-emergenze, grandi eventi), da un lato la differenza di posizione tra Pubblico Ufficiale e privato tradizionalmente presupposta si è trasformata in condizione di parità ed identità di interesse (così limitando, di fatto, la possibilità di scoperta degli illeciti); dall’altro, lo sfruttamento illecito della carica o dell’incarico pubblico si è diretto nel senso di conseguire rendite di posizione ad essa collegate, mediante l’esercizio della funzione o dell’influenza legata alla funzione; da un terzo lato, anche per questo ha assunto sempre maggiore frequenza l’intervento di terzi (i d.c. faccendieri), intermediari o millantatori di intermediazione.

La reiterazione della scoperta di casi di corruzione ad ogni livello e l’acuirsi della crisi economica sono poi all’origine di una percezione del fenomeno in termini di assoluta gravità, di sicuro nel nostro Paese.

Lo constata la più recente relazione sulla corruzione in Europa (anno 2014) , che pur nel relegare l’Italia tra gli ultimi posti nella non lusinghiera classifica basata su tale indice, precisa che, a fronte di una percentuale limitata dei casi dichiarati o scoperti di corruzione, appare nondimeno elevatissima la percentuale di quanti sono convinti della diffusione a largo raggio del fenomeno.

Ciò perché lo si avverte sia come un insopportabile costo a carico di una collettività gravata di sacrifici ed a fronte dell’ingiusto vantaggio di pochi, sia come ostacolo alla libera concorrenza ed alla competitività.

Il secondo fattore di cui parlavo si collega all’esigenza insorta nell’intera economia mondiale di reprimere un male che, per effetto della globalizzazione, colpisce gli
scambi internazionali e, in particolare, quelli con Paesi estranei all’area occidentale.

Di qui l’adozione di strumenti volti ad omogeneizzare le legislazioni nazionali, tra le quali i più noti sono la Convenzione ONU di Merida contro la corruzione; le due Convenzioni Europee, penale e civile sempre contro la corruzione, la costituzione nell’anno 1999 del GRECO (Gruppo di Stato Contro la Corruzione), organo di controllo del Consiglio d’Europa, avente funzioni di monitoraggio, mutua valutazione e pressione reciproca interstatuale.

E proprio dal rapporto del 2012 elaborato dal GRECO furono evidenziate lacune dell’apparato anticorruzione attivo nel nostro Paese, fra le quali:

  • L’insufficienza del regime sanzionatorio, anche per la disciplina vigente della prescrizione dei reati;
  • La necessità di una maggiore efficacia dei controlli sulle finanze e fonti di finanziamento di partiti e movimenti politici;
  • L’insufficiente trasparenza delle donazioni e delle spese delle articolazioni locali delle medesime associazioni politiche e gruppi rappresentativi nelle assemblee elettive.

D’altra parte, la Convenzione ONU imponeva l’avvio di un’azione articolata, coordinata e sinergica contro i fenomeni corruttivi, anche e soprattutto sul piano della prevenzione.

Azione che era già stata, in via embrionale e settoriale, iniziata con la predisposizione di organismi quali l’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici introdotta dal Governo Ciampi nel 1994 trasformatasi poi in Autorità di Vigilanza dei contratti pubblici di servizi e fornitura; alla Commissione Indipendente per la valutazione della trasparenza della P.A. introdotta nel 2009 e poi identificata come Autorità Nazionale Anticorruzione; all’attuale Autority (ANAC) presieduta dal magistrato Raffaele Cantone, dotata di penetranti poteri ispettivi, consultivi, informativi, orientativi.

ANAC, composta da membri nominati dai Presidenti di Camera e Senato muniti di autonomia contabile, organizzativa e funzionale, a seguito della riforme del 2014 (D.L. 90/2014) li esercita nei confronti di qualsiasi amministrazione e persino nei confronti dei privati, avvalendosi di ogni organo dello Stato e della Guardia di Finanza.

È interessante notare che ANAC è competente alla vigilanza anche sugli incarichi pubblici e che tra i suoi obiettivi istituzionali compare una metodologia di intervento che –cito testualmente – “eviti di aggravare i procedimenti con ricaduta negativa su cittadini e su imprese, riducendo i controlli formali che comportano appesantimenti procedurali e di fatto aumentano i costi delle PA senza creare valore per i cittadini e per le imprese”.

Della coerenza con cui a questo obiettivo guarda il legislatore e dell’idoneità del quadro normativo e perseguirlo tornerò tra poco.
La conclusione che può però senz’altro trarsi è che pare ormai matura la consapevolezza che il fenomeno corruzione, sempre esistito, mina non tanto il prestigio della P.A. né può essere affrontato nella mera ottica di repressione di un singolo “patto scellerato”, ma corrode le fondamenta stesse dell’ordinamento democratico e le basi del libero mercato.

Ciò per la perdita di fiducia nel funzionamento dell’Amministrazione, per l’effettivo condizionamento del libero mercato mediante penalizzazione del non corruttore, per il costo aggiuntivo in termini di sviamento di risorse, per l’incidenza sull’immagine del Paese e sulle ripercussioni in ordine a competitività.

Della volontà di trovare rimedi efficaci ha cercato di essere interprete la c.d. Legge Severino (L. 190/2012), alla quale deve attribuirsi il merito di un approccio sistemico e conforme agli indirizzi sovranazionali alla lotta contro la corruzione.

Anche qui senza indugiare in particolari, ricordo che:

  • Viene istituita la già citata ANAC; – Si dispone la formazione di un piano nazionale anticorruzione sia per le Amministrazioni centrali che per le altre PA;
  • Si obbliga all’individuazione di un responsabile della prevenzione e della corruzione all’interno di ogni amministrazione pubblica;
  • Si definisce la trasparenza dell’attività amministrativa come livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili garantiti su tutto il livello nazionale;
  • Si istituiscono diffusi obblighi di pubblicità, soprattutto in relazione a procedimenti autorizzativi concessioni, di scelta del contraente, di erogazione di vantaggi economici di qualunque tipo a persone e privati;
  • Si rende più restrittiva la disciplina in materia di incompatibilità e cumuli di impieghi ed incarichi;
  • Si estendono i casi di incompatibilità sia nella partecipazione a concessioni ed assegnazione a uffici operanti in settori “delicati”;
  • Si prevedono nuove ipotesi di incandidabilità e di decadenza da cariche elettive (a essa consegue la controversa decadenza da parlamentare del leader di Forza Italia);
  • Si Investe sulla formazione del personale in direzione di etica e responsabilità;
  • Si Introducono forme di tutela per il dipendente che segnala illeciti.

In attuazione della legge Severino sono stati inoltre adottati decreti dal convenuto assai pregnante, fra cui, nell’economia di questa mia tavola, mi sembra utile ricordare:

  • Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici (DPR 62/2012); – Il provvedimento che ridefinisce la disciplina in materia di incarichi dirigenziali e gli incarichi esterni (DPR 39/2013);
  • Il riordino delle norme sulla trasparenza, pubblicità e diffusione di informazioni da parte della PA.

Anche solo scorrendo la mole della produzione legislativa e la minuziosa attenzione dedicata ai dettagli, la prima impressione che si prova è quella di trovarsi di fronte ad un apparato davvero difficile da eludere.

In realtà, l’azione preventiva sembra fondarsi molto sulle carte e sull’immagine, lasciando vistose e fondamentali lacune.

Ad esempio, due settori nei quali certamente allignano fenomeni corruttivi vengono lasciati pressochè “impresidiati”. Alludo alla disciplina e trasparenza delle fonti di finanziamento dei movimenti politici, alle donazioni a questi ultimi, alle spese dei gruppi politici nelle assemblee elettive: e lo conferma la cronaca giudiziaria.

Penso poi a quella che viene definita “attività di lobbismo”. Sulla prima questione, persino le sollecitazioni internazionali che ne sottolineano l’importanza (relazione UE sulla corruzione), la classe politica continua a mostrare scarsa sensibilità. Pesa al riguardo la sessantennale inattuazione della norma costituzionale sul metodo democratico con cui i partiti politici vengono indicati quali “attori” della politica nazionale.

E’ inoltre questione che si intreccia con il ruolo degli organismi “ a latere” dei partiti e movimenti politici, idoneo a prestarsi a strumentalizzazione causa l’agevolato regime amministrativo e fiscale che li caratterizza.

La seconda questione si rivela quasi un tabù, nonostante per i più maturi ordinamenti democratici costituisca dato accettato – e per questo disciplinato – il ruolo dei c.d. gruppi di pressione a livello del procedimento decisionale degli organi di indirizzo politico

Ancora nonostante 54 disegni di legge presentati nella legislature repubblicane nessun intervento è stato adottato: c’è da augurarsi che le recenti introduzioni in ambito UE di un albo e di un codice di comportamento dei lobbisti possa fungere da stimolo.

Tornando all’apparato anticorruzione, un osservatore disincantato non può però che rimanere perplesso di fronte ad un vero e proprio fiume di prescrizioni ed adempimenti, che rischiano di produrre un effetto boomerang.

Intendo dire che le tante relazioni, i sovrapposti piani anticorruzione, la enormità di dati e notizie da rendere pubblici possono finire per rivelarsi vacue e stanche recite di una trama anzitutto incapace di mutare il finale, cioè di conseguire effettivi risultati.

Inoltre, paradossalmente, l’esponenziale aumento di norme concernenti l’amministrazione è di per sé fonte di insorgenza di fenomeni corruttivi, finalizzati ad accelerare, rallentare od evitare passaggi procedurali. Non è una constatazione mia, ma espressa dal procuratore generale della Corte dei Conti un una sua relazione annuale. Di certo, non sembra affatto perseguirsi quell’obiettivo di snellezza istituzionalmente perseguito dall’Autorità nazionale Anticorruzione.

Ancora, l’incremento altrettanto torrenziale di adempimenti ed incombenze amministrativo/burocratiche in capo ai pubblici dipendenti frustra l’efficienza del loro lavoro ed incide negativamente sulla qualità delle loro prestazioni; ed ancora una volta, il pericolo è di rinnegare il contrario scopo promesso da roboanti proclami.

Sempre ad un attento osservatore non può inoltre sfuggire la pericolosità di obblighi dal contenuto discrezionalmente interpretabile, quali: a) quello di dichiarare l’adesione del pubblico dipendente ad associazioni i cui ambito di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività d’ufficio (con la ingiustificata esclusione, però, di partiti e sindacati); b) di astensione in casi di interesse individuato nell’intento di assecondare pressini politiche, sindacali e di superiori gerarchici.

Molti dubbi, non da ultimi di ordine etico, derivano da quella che pare essere la scelta “strategica” di puntare come carta vincente su quella che in inglese si chiama “whistleblower”, nel linguaggio del legislatore “tutela dei dipendenti che segnalano illeciti” e, in volgare, delazione.

In un sistema che favorisce l’insorgenza di malesseri, frustrazioni e risentimento; che privilegia spesso il ricorso alle presunzioni anziché al principio della certezza delle prove per giudicare; che non è incline a far emergere il merito ed è pesantemente intriso di clientelismo, l’indulgenza generalizzata al metodo “premiante” quale strumento principe della lotta alla corruzione rischia di divenire invece un incentivo legale alla corruzione.

Il nostro ordinamento già conosce le degenerazioni prodotte dal cd pentitismo e collaborazionismo nella lotta alla criminalità organizzata. Dal punto di vista morale, diventa davvero difficile da accettare che, per combattere una sorta di cancro che infetta l’organismo, si impegni una cellula idonea diffonderne un altro.

Ed allora, è lecito a questo punto domandarsi, quali scenari si aprono?

Dove e come può ancora e meglio affrontare il fenomeno corruzione?

C’è un ruolo per in ciò per i Liberi Muratori e per la Massoneria?

La constatazione agli occhi di tutti e più volte sottolineata da tutti gli studi sul tema è che occorre non solo avvalersi di mezzi istituzionali sempre più efficaci, raffinati, coordinati anche a livello internazionale e su più piani e livelli, ma che occorre un “cambio di mentalità”.

Il punto di partenza dovrebbe essere lo stimolo della consapevolezza che, come diceva Cicerone in una “verrina” fa più male alla salute dello stato la corruzione più che la carestia o le guerre.
Certamente, quindi, appare fondamentale lo sforzo sul piano formativo ed informativo.

Occorre però muovere dall’altra consapevolezza, che il fenomeno non è solo “macro”, ma anche “micro”, parafrasando la relazione sulla corruzione pubblicata dalla CIVIT del 2012: ovvero la diffusione nel tessuto sociale di trattamenti preferenziali illeciti praticati anche su lavori, incarichi, temi di minore portata.

Di recente, Papa Francesco ha paragonato il corrotto a chi ha l’alito cattivo e ha detto che la corruzione “puzza”. In un libro da lui scritto, motiva le sue affermazioni sostenendo che la corruzione deriva da una sorta di sbilanciamento tra la convinzione di bastare a sé stessi e la realtà di essere schiavi di quella convinzione di autosufficienza. Da quello squilibrio si genererebbe il cattivo odore.

Aggiunge che la corruzione è ancor più grave del peccato perché, nell’attitudine del corrotto a ripiegare sul proprio tornaconto e, per simulare, a negarlo e a presentarsi come irreprensibile, si realizza una sorta di “stanchezza della trascendenza”.

Da qui traggo lo spunto che, ad un tempo, avvia alla conclusione di questa mia tavola e mi sembra possa riportarne al motivo per cui essa viene tracciata in questo Tempio.

L’atteggiamento di chi ripudia la corruzione è anzitutto animato da uno spirito di elevazione: il Massone, che riconosce l’esistenza di un Grande Architetto dell’Universo e sa che l’Arte si esprime con la combinazione di Forza, Bellezza e Sapienza, dovrebbe poter risultare un protagonista.

Un protagonista che interviene dando coerenza alle sue azioni e animato anzitutto da onestà intellettuale e da “prudentia” nel senso latino del termine, ovvero capacità di discernimento e di scelte congrue.

Egli ha il compito, essenzialmente pedagogico, di evidenziare che l’humus culturale dal quale si alimenta la corruzione si avversa con l’esercizio costante nella vita profana delle qualità che predichiamo nel Tempio; con l’isolamento di figure e comportamenti che costituiscono l’anticamera della corruzione; con la rigorosa uniformità delle nostre condotte ai valori ai quali proclamiamo di aderire, nella quotidianità; con la predisposizione al grato riconoscimento, all’interno della nostra Istituzione e nelle attività di cui ci occupiamo, del merito altrui come principio di ogni nostra determinazione.

Il suo esempio deve esprimersi nel rifiuto delle facili scorciatoie occasionate dalle vicende della vita quotidiana e nel rigore del lavoro.

Ancora mi sento in sintonia con le parole di Papa Francesco: è dall’atteggiamento del nostro cuore che nasce la corruzione ed è dal reiterato cedimento a quelli che noi chiamiamo “metalli” che si allarga la crepa dell’integrità di ogni Uomo.

Questo vale per noi, come singoli Muratori.

La nostra istituzione, intesa nelle sue componenti organizzative, credo sinceramente sconti nel nostro Paese un “gap” che non proviene solo dalla funesta eredità quantomeno di colpevoli silenzi. La sua “mission” di recupero del ruolo di coscienza autorevole e credibile nel mondo quantomeno occidentale, ritengo ben avviata negli ultimi lustri, è tuttora lungi dall’essere conclusa.  Le ultime “uscite” del direttore del quotidiano più diffuso in Italia ne danno conto.

Non possiamo condividere che la Massoneria “sappia” di stantio, ma dobbiamo prendere atto che questa convinzione è largamente condivisa.

Il difficile compito di chi la governa e la governerà in futuro, in primo luogo, per avere speranza di progredire nell’irto cammino di conseguire quel risultato, credo consista in primo luogo nello riuscire a sconfiggere le tensioni ai metalli (anche solo simbolici) al proprio interno.

Solo così potrà recuperare quell’unità di intenti, quell’idem sentire, quell’entusiasmo e quella forza che solo il rispetto e la valorizzazione delle sue energie più vive e generose possono offrire, che solo il vero e praticato amore fraterno possono far scaturire.

M:.A:. Giovanni F.