ADDIO DEL VOLONTARIO


Addio mia bella, addio:

L’armata se ne va.

E se non partissi anch’io

sarebbe una viltà.

 

La spada, le pistole

lo schioppo l’ho con me.

Allo spuntar del sole

Io partirò da te.

 

Il sacco preparato

sull’omero mi sta.

Son uomo e son soldato

Viva la libertà.

 

Addio mia bella, addio:

L’armata se ne va.

E se non partissi anch’io

sarebbe una viltà.

  

versi: Carlo A. Bosi

musica: ignoto

1859


Vittorio Emanuele, aprendo la camera il 10 gennaio 1859, dice: “Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi”. Subito migliaia di esuli e volontari da tutte le parti d’Italia accorrono a Torino. Sta per scoppiare la Seconda guerra d’indipendenza. 15.000 furono incorporati nell’esercito. Cavour dovette chiamare Garibaldi e affidargli la formazione, con altri 10.000 volontari, di un corpo di Cacciatori delle Alpi. L’atmosfera di solidarietà e di entusiasmo è alle stelle. A quelli dei primi giorni si aggiungono man mano altri che han nel petto l’amore per la Patria. Secondo una ricerca di Anna Maria Isastia, di qualche anno fa, per l’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, raggiunsero la cifra record di 50.000 unità, 12.000 dei quali garibaldini.

L’Addio del volontario è definito dal Gori nel suo Canzoniere Nazionale “La più popolare gentile canzone che sia stata scritta e cantata da coloro che combatterono le guerre dell’indipendenza dal 1848 al 1878”. Compagna fedele delle nostre glorie e delle nostre sciagure da Curtatone a Roma, questa canzone si è meritata giustamente i primi posti fra gli inni del nostro Risorgimento. Pochissimi seppero, molti ignorano tuttora, il nome dello scrittore di questi patriottici e simpatici versi. Ritenuti da alcuni totalmente di creazione popolare come molti altri canti di anonimo, tanto sono facili ed espressivi, il loro autore fu, invece, il fiorentino avvocato Carlo Bosi, conosciuto anche sotto lo pseudonimo di “Basocrilo fiorentino” per i suoi canti popolari patriottici o amorosi, tutti simpatici e belli e rispondenti sempre al pensiero e al sentimento del popolo. Come Le mie prigioni del carbonaro Silvio Pellico le strofe di questa poesia hanno nuociuto agli austriaci più di una battaglia perduta e giovato all’Italia più di una battaglia guadagnata, tanta è la potenza del ritmo e dell’armonia sull’animo gentile e valoroso degli italiani. Se anche non si consentirà con quest’ultima valutazione sul potere strategico e militare della canzone, si deve riconoscerne la bella e semplice sua forza di suggestione.Non si può pretendere da questi “fogli volanti” e scritti di getto sull’onda dell’entusiamo dell’avventuroso anno 1859 un qualche rigore filologico: sgrammaticature, versi spurii, omissioni sono frequenti. Nel canto qui qui riportato, i versi La spada, le pistole / lo schioppo l’ho con me hanno anche un’altra ‘lectio’: Il sacco e le pistole, / Il fucile io l’ho con me. In altre versioni vi sono anche altre quartine, le seguenti, le cui ultime tre non sono del testo originale di Bosi:

 

Non pianger, mio tesoro;

Ti resta un figlio ancor;

In esso ti consola;

È il figlio del’amor.

 

Non è fraterna guerra

La guerra ch’io farò;

Dall’italiana terra

L’estraneo caccerò.

 

Non pianger, mio tesoro;

Forse ritornerò;

E s’io in battaglia moro

In ciel ti rivedrò

 

Alla mia tomba appresso

La gloria sederà

E invece del cipresso

Un fior vi spunterà.

 

Quel fiore, idolo amato

I tre colori avrà;

Lo bacia; è di chi è nato

In suol di libertà.

 

Si stracci il giallo e nero

Simbolo del dolor;

E l’italiano altero

Innalzi il tricolor.


La battaglia di Montebello, 20 maggio 1859
(Raccolta Bertarelli, Milano)